Biodiversità, il 33% delle aziende italiane la prevede già nei rendiconti

La tendenza c’è, anche se i numeri sono ancora bassi. Perché solo il 19% delle aziende ha adottato gli standard Esrs (European Sustainability Reporting Standards) richiesti dalla Corporate Sustainability Reporting Directive approvata a fine agosto. In questo contesto poi, il 25% delle aziende valuta attualmente il proprio impatto sulla biodiversità, evidenziando la necessità di una maggiore responsabilità, mentre il 48% prevede di integrarla nelle proprie strategie entro i prossimi cinque anni. Il 33% include già la biodiversità nella propria rendicontazione. Non è comunque tutto, perché almeno 4 mila imprese «dovranno intraprendere un processo di trasformazione significativo per rispettare le direttive e migliorare le loro performance Esg, soprattutto per quanto riguarda la protezione e il ripristino di biodiversità ed ecosistemi».

Sono alcuni degli aspetti evidenziati dal primo “Rapporto su biodiversità e settore privato in Italia” realizzato dalla società di consulenza ambientale Etifor, in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova, creato con il supporto dell’Unione Italiana Olio di Palma Sostenibile, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), B Lab Italy, Koinètica e Forum per la Finanza Sostenibile, e presentato durante la Cop16 in corso a Cali in Colombia.

Aumento di consapevolezza

«L’evidente aumento di consapevolezza in Italia e nel mondo è incoraggiante, tuttavia è necessaria un’azione più rapida e diffusa per integrare la biodiversità nelle strategie aziendali e raggiungere gli obiettivi di sostenibilità – premette Alessandro Leonardi, amministratore delegato di Etifor -. Le aziende che agiscono ora saranno meglio posizionate per adattarsi alle nuove normative e sfruttare le opportunità di mercato emergenti».

Lo scenario, a leggere il rapporto, è tutt’altro che confortante. E il «rapido deterioramento della biodiversità rappresenta oggi una delle sfide legate alla natura più importanti a livello globale». Perché «la distruzione degli habitat, l’inquinamento e lo sfruttamento delle risorse mettono a rischio ecosistemi, economia e benessere sul lungo periodo, impattando direttamente su servizi naturali essenziali forniti all’essere umano, quali, ad esempio, acqua e aria pulite, impollinazione, fertilità del suolo e regolazione del clima, nonché su qualità e reperibilità di materie prime alla base di medicinali, prodotti alimentari e approvvigionamento energetico».

Ancora tanto lavoro da fare

Lo studio rimarca che nel mondo ancora 2 miliardi di persone utilizzino combustibili legnosi per la produzione di energia e circa 4 miliardi si affidano principalmente a medicinali naturali. Per Leonardi «il settore privato svolge un ruolo fondamentale nella perdita di biodiversità, dato che la maggior parte delle aziende impatta, più o meno direttamente e consapevolmente, sugli habitat e provoca inquinamento, pur dipendendo, in molti casi, proprio dai servizi ecosistemici forniti dalla natura».

Fonte: Il Sole 24 Ore