L’Aquila nazista sul cancello di casa è propaganda di idee razziste

Scatta il reato di propaganda di idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale o etnico, per chi sceglie di “decorare” il cancello della sua abitazione con l’aquila nazista. E, a corredo del simbolo aggiunge due triangoli con il vertice capovolto, come quelli usati per distinguere gli internati nei campi di concentramento. La Cassazione (sentenza 39243) ha depositato le motivazioni con le quali ha confermato la condanna – in base all’articolo 604-bis del Codice penale, che punisce i delitti contro l’uguaglianza – a carico di Fabrizio Fournier, classe ’64, di St-Vincent, per aver propagandato idee naziste e negazioniste della Shoah anche sul social Facebook. Cade invece la stessa accusa per l’uso di watshapp, perché la difesa del “grande Adolf Hitler” – che delle bufale come quella dell’olocausto avevano fatto passare come mostro – riguardava una chat con sette amici, con i quali condivideva le sue “brillanti intuizioni”. La Suprema corte conferma invece i risarcimenti in favore delle parti civili: la Comunità ebraica di Torino, l’Anpi e la Regione Valle d’Aosta.

L’esposizione dei simboli

I fatti risalgono al gennaio 2019, quando la Digos aveva sequestrato i due cancelli di accesso all’abitazione dell’imputato. Su un pannello c’era l’aquila riconducibile a quella del Terzo Reich, mentre su altri due erano raffigurati i triangoli che evocavano le origini dei prigionieri dei lager. Per la difesa solo simboli statici e dunque non utili alla propaganda. Per l’accusa incisioni con «una intrinseca natura e funzione di diffondere ideologie negazioniste». La Cassazione si è chiesta dunque “se la mera esposizione di un simbolo integri, di per sè, attività di propaganda, la quale richiede un’attività programmata e continua volta a convincere una pluralità indistinta di soggetti”.

L’evoluzione della legge Mancino

Con 30 pagine la Cassazione conferma il reato previsto dall’articolo 604-bis del Codice penale. Una formulazione frutto dell’evoluzione legislativa, iniziata con la legge Reale (654/1975) che ha introdotto un reato autonomo, per sanzionare la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, punendo inoltre l’incitamento alla discriminazione razzista e gli atti di violenza. In seconda battuta la legge Mancino (204/1993) a inserito nella norma anche le discriminazioni a carattere religioso. Da ultimo la legge 85/2006 ha modificato l’articolo 3 della legge Reale sostituendo la condotta di diffusione con quella di propaganda e l’incitamento con l’istigazione. Chiarito il quadro normativo i giudici di legittimità condannano per propaganda aggravata dalle “idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale o etnico”. Viene del tutto disattesa la tesi difensiva sulla “staticità” dei simboli. Per gli ermellini, infatti, era tesa a raccogliere consensi per l’idea espressa e divulgata “la prolungata esposizione, ostentata sulla pubblica via, per un rilevante lasso temporale del simbolo nazista dell’aquila, accostato a simbologia evocativa della classificazione, repressione e uccisione nei campi di concentramento nazista, nonchè la pubblicazione su social network di video negazionisti dell’Olocausto”. Non passa dunque il tentativo dell’imputato che, poco coerentemente, aveva cercato di spacciare i simboli incriminati per immagini esoteriche o per quelle utilizzate dall’aeronautica militare. Aquila e triangoli erano stati analizzati però da uno storico e sul loro significato non c’erano dubbi. E se ci fossero stati sarebbero stati fugati dalla presenza di una svastica in cemento nell’androne della sua casa, e dai numerosi oggetti sequestrati, da una sua foto nella quale faceva il saluto romano, oltre che dai molti libri sul pensiero negazionista secondo il quale la Shoah sarebbe uno strumento della propaganda sionista e le camere a gas un’invenzione. La condanna alle spese da pagare alle parti civili e ai risarcimenti però è vera.

Fonte: Il Sole 24 Ore