Tra i ragazzi di Nisida, sempre più piccoli e più violenti

Non chiarisce se si riferiva ad Emanuele, che è morto, o a chi l’ha ucciso: le prime ipotesi investigative puntano su un altro quindicenne, quale possibile killer, insieme ad un complice di due anni più grande, in un contesto di scontro tra bande di quartieri diversi. Non lo chiarisce e la riflessione – in un certo senso – può valere per entrambi. Essere fermati per tempo, per certi bambini con la pistola, può fare la differenza tra la vita e la morte. Alcuni di loro oggi lo sanno, di essere vivi anche perché sono stati arrestati prima. Quasi per caso. Come per caso è invece morto Giovanbattista Cutolo, Giogiò, il diciassettenne musicista assassinato a piazza Municipio l’anno scorso o come altri ancora prima di lui.

I contesti di provenienza

In alcuni contesti, «dove cresci con l’idolo di chi fa più male o di chi ha le scarpe più griffate, ci si spara per senza niente (anche senza una vera ragione, ndr)», raccontano i ragazzi. «Anche nel mio quartiere siamo cresciuti con il mito di chi aveva le scarpe da 500 euro e la pistola. E allora per darti importanza, per avvicinarti a quell’idolo ti ritrovi in qualcosa più grande di te», è la considerazione di chi oggi sta affrontando complessi e faticosi percorsi di consapevolezza. Nel deserto delle occasioni di certe zone, in particolare laddove dispersione scolastica, disoccupazione e difficoltà economica toccano percentuali maggiori che altrove, può diventare troppo facilmente un’opzione chi ti mette in mano «nu’ mezzo (uno scooter, ndr), ’na pistola e ’nu poco e’ rispetto», come disse un altro quindicenne detenuto qui qualche anno fa durante l’ incontro con la mamma di un’altra giovane vittima della violenza di giovanissimi. Qui ci può essere una delle origini del rancore di questi giovanissimi, che nell’Ipm imparano però anche che imbracciare un’arma è comunque sempre una scelta. Più o meno consapevole.

La rabbia e la scelta

«Quando ero piccolo, avevo un sacco di rabbia. La rabbia perché ho provato il dolore: questa è l’emozione che ho imparato a riconoscere. Oggi la so gestire», racconta il più muscoloso dei ragazzi che incontro, con la sua storia tatuata sul bicipite. Delle emozioni ha imparato a parlare dopo una serie di incontri, che vanno al cuore di quel ribollire complesso di certi adolescenti che abbandonati per strada senza obiettivi possono diventare una pentola a pressione. Anche Libero, il cane mascotte che accompagna ogni passo, «era molto arrabbiato quando l’abbiamo trovato, abbandonato da chissà chi», mi raccontano. Ora che è stato “adottato” da tutti loro è buonissimo, ubbidiente e mansueto.

Il sovraffollamento dell’Ipm

In questo momento nell’Ipm di Nisida ci sono numeri che non furono raggiunti nemmeno nei mesi più difficili della stagione della cosiddetta “paranza dei bambini”, quando – intorno al 2015-16 – il fenomeno dei minori arruolati dalla camorra – e poi di una crescente criminalità minorile – si impose come emergenza e gli arresti fecero raggiungere il picco delle 60 presenze. Al momento sono settantasei gli ospiti: solo una manciata in custodia attenuata, tutti gli altri nel perimetro del carcere vero e proprio. Con le mura di cinta, i ripetuti cancelli, le grate alle finestre e i panni stesi – come in ogni carcere – a chiudere lo sguardo sul mare luccicante di quest’intarsio della costa flegrea, che mostra contemporaneamente tanto i suoi fallimenti quanto le sue ricchezze.

Nisida e la costa flegrea

Il travaglio di Bagnoli, con l’acciaio arrugginito dell’Italsider e gli ultimi progetti di riqualificazione e – dall’altra parte della costa – la bellezza abbacinante del Parco letterario e naturale di Nisida, inserito nei percorsi del Fai, curato col lavoro anche di alcuni di questi ragazzi. Il tutto nella zona rossa dei Campi Flegrei per rischio vulcanico, come ricorda la presenza di un geologo impegnato in sopralluoghi.

Fonte: Il Sole 24 Ore