Manovra, dai bit coin alla sugar tax, dalla sanità alle pensioni è corsa alle correzioni in Parlamento

Con l’approdo del Disegno di legge di Bilancio alla Camera prende ufficialmente in via la sessione di bilancio e per la prima volta rispetto all’ultimo decennio le Camere avranno a disposizione ben 70 giorni di tempo per esaminarla. Un maggior tempo che non corrisponde però a maggiori spazi di intervento visto che le nuove regole di bruxelles sul patto non consentono di intervenire se non prevedendo coperture con aumenti di nuove tasse. C’è poi da ricordare che il disegno di legge depositato stanzia solo 120 milioni per i ritocchi parlamentari, che stando alle prime dichiarazioni a caldo, non saranno comunque pochi almeno in termini di richieste. La speranza di aumentare la dote è riposta tutta nel successo del concordato fiscale che scade il 31 ottobre 2025 i cui risultati saranno contabilizzati, come di regola, non prima di 10 giorni del prossimo mese di novembre. Fino a quella data ci sarà un susseguirsi di annunci ed emendamenti. C’è chi già chiede di cancellare la stangata sui bit coin, così come di non uccidere le startup con l’estensione alle Pmi della digital service tax, la web tax all’italiana. Il canone tv che torna a 90 euro dopo essere stato ridotto a 70 euro per il 2024 accompagnato dalla cura dimagrante sul costo del personale in tre anni imposta alla Rai , o ancora gli stipendi di medici e infermieri, il rinvio della sugar tax, le pensioni minime e la flessibilità in uscita cara alla Lega. Un confronto che vedrà impegnato il Governo, come ogni anno, a difendere la tenuta dei conti pubblici dal diluvio di correttivi che, ormai, arrivano sempre più spesso dalla maggioranza che sostiene l’esecutivo.

Il concordato preventivo stretto tra risorse ai correttivi e taglio delle tasse

Non sarà soltanto il governo a sperare in un successo del concordato preventivo. Ad accendere i fari sul patto tra Fisco e 4,7 milioni di partite Iva sono tutti i partiti politici che sperano in incasso miliardario cosi da poter recuperare risorse da utilizzare per correggere il tiro della manovra di Bilancio. Ma attenzione al momento, le dichiarazioni di intenti di ricorrere agli incassi del concordato, sembrano non tener conto del fatto che il decreto “anticipi” collegato alla stessa manovra di bilancio e presentato al Senato, blinda di fatto le entrate da concordato destinandole al fondo per la riduzione della pressione fiscale. Per utilizzare quelle risorse, al fine di sostenere gli emendamenti alla manovra, vorrebbe dire allo stesso tempo di non voler più tagliare le tasse al ceto medio con la riduzione ad esempio dell’aliquota dal 35 al 33% per chi dichiara redditi tra 28mila e 50mila, come chiede il partito della Premier Meloni, o ancora di più spostando l’asticella sempre del secondo scaglione Irpef da 50mila a 60mila, progetto caro più volte annunciato dagli azzurri di Forza Italia. Scelta difficile tra il dover annunciare di non poter tagliare più le tasse ai contribuenti perché il fondo preposto è stato svuotato per gli emendamenti alla legge di bilancio.

La stangata sulle criptovalute

La tassa sul bit coin, che sale in un solo colpo del 61% passando dal 26% al 42% sulla rendita maturata, ha subito incontrato il no della Lega, che ancor prima di essere definita e quantificata, ne chiedeva la cancellazione o quanto meno una revisione al ribasso. In termini di gettito l’innalzamento dal 26% al 42% della tassazione delle plusvalenze e dei proventi generati da operazioni in Bitcoin e altre cripto-attività porterà, in fondo, poco più di 16,7 milioni aggiuntivi ai 27 milioni di euro incassati fino ad oggi.

La web tax non risparmia le Pmi

Si è mossa subito la Fieg e poi a seguire il Consorzio del Commercio Digitale secondo cui sono a rischio l’attrattività dell’Italia e la capacità competitiva delle Pmi. Per la federazione degli editori rimuovere le attuali soglie che escludono dall’imposta del 3% sui ricavi le imprese con meno di 750 milioni di fatturato globale e con ricavi derivanti da servizi digitali in Italia inferiori a 5,5 milioni equivale colpire tutte le imprese digitali italiane. Un allargamento del perimetro della digital service tax sono stimate maggiori entrate annue di 51,6 milioni di euro. Non meno allarmato il consorzio del Commercio digitale secondo cui l’estensione della Web Tax potrebbe innescare un effetto a cascata lungo la catena del valore digitale. Il fatto di tassare i ricavi lordi, dice Netcomm in una nota, anziché i profitti ha impatti diretti sull’intero ecosistema digitale. Le imprese che forniscono servizi digitali, come la pubblicità online, la gestione di piattaforme e-commerce o l’hosting di dati, aumenteranno i loro prezzi per compensare il nuovo carico fiscale. Questo aumento avrà effetti indiretti anche sulle aziende non digitali di natura, ma che utilizzano di questi servizi, aumentando il costo complessivo delle operazioni digitali.

La stangata sulle auto aziendali

Sotto la lente delle delle forze di maggioranza e opposizione è finita subito anche la stangata in arrivo sulle auto concesse in uso promiscuo ai dipendenti. Il cambio delle regole di calcolo del fringe benefit, infatti, penalizza con aumenti di costi anche oltre il 60% (si veda Il Sole 24 ore del 26 ottobre 2024, sezione Norme e Tributi) le assegnazioni di veicoli aziendali alimentati con motore termico, per intenderci quelli a benzina, gasolio e le Hibrid nella fascia compresa tra 61 e 160g/Km di Co2. La stretta del governo, però, si trasforma in una beffa per quei lavoratori che hanno già selezionato il veicolo di loro gradimento anche in ragione del costo fiscale da sostenere ma che si vedranno assegnare la vettura soltanto nel 2025 a causa dell’allungamento dei tempi di consegna legati all’approvigionamento di componenti o della crisi dei chip e per questo dovranno sostenere un un prelievo in busta paga di gran lunga più alto. Una soluzione a questo problema potrebbe essere quella di posticipare l’entrata in vigore delle nuove regole di calcolo del fringe benefit alla seconda metà dell’anno. A meno di non voler considerare come contratti stipulati quelli i contratti di concessione in uso promiscuo e non l’ordine effettuato dall’azienda al noleggiatore facendo sottoscrivere questi contratti di uso promiscuo tra azienda e dipendente entro la fine del 2024. Soluzione, quest’ultima, che a ben vedere non andrebbe ad intaccare i saldi della legge di bilancio in quanto si tratterebbe di contratti non conteggiati nella determinazione delle quantificazioni di maggior gettito della misura attese dal Governo.

Fonte: Il Sole 24 Ore