Gibellina, storia di una rinascita dal terremoto del ’68 a Capitale dell’arte contemporanea
Un esempio virtuoso di rinascita, dalla catastrofe ad un’opera d’arte. È successo a Gibellina, piccolo centro siciliano nel trapanese che oggi viene proclamato prima Capitale italiana dell’arte contemporanea per il 2026. Il titolo è stato introdotto quest’anno dal ministero della Cultura e in lizza vi erano anche Gallarate, Carrara, Pescara e Todi, ma Gibellina «con la sua candidatura offre al nostro Paese un progetto organico e solido – ha affermato il ministro Alessandro Giuli motivando la scelta della giuria – consegnando all’Italia di oggi un esemplare modello di intervento culturale fondato su valori e azioni che riconoscono all’arte una funzione sociale e alla cultura lo statuto di bene comune».
La devastazione del terremoto
Nel gennaio del 1968, Gibellina è protagonista, suo malgrado, della prima vera emergenza del Dopoguerra, andando completamente distrutta nel terremoto del Belice. Anche Montevago, Poggioreale e Salaparuta vengono rase al suolo, la Valle è devastata. Le scosse di magnitudo 6.5 colpiscono la Sicilia occidentale e, in particolare, le province di Palermo, Trapani e Agrigento. Il bilancio è pesantissimo: 296 persone perdono la vita, oltre mille restano ferite e quasi 100mila sono senza casa. Le scosse si susseguono per molti mesi e oltre un anno dopo un vigile del fuoco perde la vita, a causa di una scossa violenta, mentre è impegnato con le squadre di soccorritori ancora tra le macerie. La città ormai non esiste più, migliaia di famiglie vedono la propria vita cambiare per sempre e l’economia, quasi esclusivamente agricola, subisce gravi ripercussioni.
Un laboratorio a cielo aperto
Il 2 marzo del 1968 sono gli stessi terremotati del Belice insieme a numerosi studenti a chiedere davanti al Parlamento, all’allora presidente del Consiglio Aldo Moro, una legge ad hoc per la ricostruzione e lo sviluppo della Val Belice. Ci vorranno anni per portare al termine il progetto. Il Belice diventa un laboratorio a cielo aperto: viene deciso di ricreare il centro abitato una ventina di chilometri più a valle sul territorio del comune di Salemi, e l’ex sindaco Ludovico Corrao, chiama a raccolta un gruppo di artisti e intellettuali perché possano dare il loro apporto. Da Mario Schifano ad Arnaldo Pomodoro, da Mimmo Paladino a Leonardo Sciascia, tutti offrono una prospettiva innovativa di sperimentazione e pianificazione artistica. Alberto Burri si rifiuta di inserire una sua opera nel nuovo contesto urbano e realizza il Cretto di Burri, o Grande Cretto, sulla vecchia Gibellina. Dall’alto l’opera ci restituisce una Gibellina composta da blocchi di cemento sul terreno, alti 1 metro e 60, e fratture larghe dai due ai tre metri, come a voler congelare la memoria storica del paese con una veste bianca capace di coprire e proteggere al tempo stesso. L’opera di arte contemporanea ha una superficie di circa 80mila metri quadrati ed è tra le più estese al mondo.
«Dalle catastrofi possono nascere realtà nuove»
Secondo il sindaco del paese siciliano Salvatore Sutera, premiare Gibellina è un «segnale con cui dire che anche dai momenti bui, segnati dalle tante catastrofi che viviamo, possono nascere delle realtà assolutamente nuove. È un messaggio che l’Italia può dare a tutto il mondo». Per il primo cittadino è stato presentato un progetto condiviso con tanti istituti sia a livello territoriale sia anche a livello nazionale. «Da questo punto di vista ci assumiamo quindi una responsabilità ancora maggiore. Mi farebbe piacere trovare un modo per collaborare con le altre città finaliste che hanno presentato dei progetti assolutamente validi. Tutti quanti meritavamo questo titolo».
Fonte: Il Sole 24 Ore