Plastica monouso, che cosa sono i falsi riutilizzabili
I falsi riutilizzabili sono patti, bicchieri, posate in plastica che vengono presentati come adatti a essere usati più volte ma in realtà spesso vengono buttati dopo il primo utilizzo. Fanno capolino sugli scaffali dei supermercati, nella corsia dedicata a stoviglie e accessori per le feste: prodotti tradizionalmente monouso. Da qui dunque la confusione.
Il bando della plastica monouso
La Sup (single plastic use), la direttiva europea entrata in vigore nel 2019, ha bandito cannucce, aste per palloncini, posate, ma anche piatti e contenitori monouso in plastica. Ha invece ammesso i prodotti biodegradabili e compostabili, promuovendo l’arrivo sul mercato di piatti, bicchieri e forchette in bioplastica certificata. Effettivamente è vasta l’offerta di questo tipo di pezzi nella grande distribuzione, con tanto di certificazioni stampate sulle etichette e l’indicazione chiara di smaltimento nella raccolta dell’umido. Sono presenti però anche prodotti definiti «riutilizzabili» con la scritta «reusable» impressa sulla superficie, la segnalazione «testati per almeno 20 lavaggi in lavastoviglie» e le istruzioni per la destinazione del rifiuto: raccolta della plastica. Il prodotto dovrebbe essere più spesso, più resistente, più pesante. Ma se l’uso è uno solo, tecnicamente è un ritorno del monouso in plastica.
Definizione di riutilizzabile
Per gli operatori del settore, il decreto legislativo 196/2021 con cui l’Italia ha recepito la Sup non ha dato una definizione di «riutilizzabile», creando una zona grigia in cui è ricomparso il monouso. Nemmeno il recente Ppwr (regolamento europeo sugli imballaggi) ha portato chiarezza su questo punto. La richiesta è quindi quella di maggiori controlli e di una definizione condivisa di che cosa sia effettivamente riutilizzabile o no, lavorando su pesi e dimensioni.
Spesso il falso riutilizzabile è più economico rispetto a prodotti omologhi in bioplastica certificata. Dal bando della plastica monouso le aziende della filiera italiana hanno infatti fatto investimenti importanti avviando la conversione della produzione, con un prodotto finale più costoso.
Le conseguenze sulle aziende
Sull’ultimo rapporto sulla filiera italiana delle bioplastiche compostabili, promosso da Assobioplastiche, Biorepack e Cic, e stilato da Plastic Consult, si legge che il fatturato del settore, dopo il record 2022 (1,16 miliardi di euro), è sceso a 828 milioni (-29,1%), sull’onda della forte flessione registrata dai listini, mentre i volumi complessivi dei manufatti prodotti hanno toccato le 120.900 tonnellate (-5,5% sul 2022), con le maggiori difficoltà incontrate proprio dal comparto monouso che ha registrato un calo del 20%. Se la produzione totale è passata dalle 3mila tonnellate del 2018 alle 24-25mila nel 2022, nel 2023 è scesa sotto le 20mila e il trend per il 2024 si conferma in riduzione, con una contrazione media del 10-15%.
Fonte: Il Sole 24 Ore