Ricostruzione post calamità, dieci anni per concluderla. Primo sì della Camera al disegno di legge
Un sistema «nazionale» della ricostruzione post calamità, con un Fondo ad hoc e tempi certi per concludere i lavori: cinque anni, prorogabili al massimo «fino a dieci». Il disegno di legge quadro che porta la firma del ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, a quasi un anno dalla presentazione in Parlamento taglia il primo traguardo con il sì della Camera. In 28 articoli, il provvedimento punta ad assicurare una cornice organica e uniforme su tutto il territorio nazionale ai cantieri che si aprono sui territori dopo terremoti, frane e alluvioni. E delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del testo, uno o più decreti legislativi per definire schemi assicurativi per indennizzare persone fisiche e imprese per i danni al patrimonio edilizio.
Il Cdm delibererà «lo stato di ricostruzione di rilievo nazionale»
Il Ddl affida al Consiglio dei ministri la facoltà di deliberare «lo stato di ricostruzione di rilievo nazionale», una volta acquisita l’intesa con Regioni e Province autonome, nei casi in cui sia necessario provvedere a una complessiva revisione dell’assetto urbanistico ed edilizio delle aree colpite da una calamità naturale o provocata dall’essere umano. Il provvedimento sarà chiamato a stabilire la durata e l’estensione territoriale dello stato di ricostruzione, comunque sempre nell’ambito dei territori per i quali è stato precedentemente dichiarato lo stato di emergenza e per un massimo di cinque anni, prorogabili di altri cinque.
Il commissario straordinario alla ricostruzione
Il passaggio successivo alla delibera del Cdm è la nomina, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri o dell’autorità politica delegata per la ricostruzione, sempre previa deliberazione del Consiglio dei ministri d’intesa con Regioni e Province autonome, di un commissario straordinario alla ricostruzione, che può essere individuato nel presidente della Regione o delle Regioni interessate oppure «individuato tra soggetti dotati di professionalità specifica e competenza manageriale per l’incarico da svolgere, tenuto conto della complessità e rilevanza del processo di ricostruzione». È quanto di fatto già avvenuto per la ricostruzione post alluvione del maggio 2023 in Emilia Romagna, Marche e Toscana con la nomina del generale Francesco Paolo Figliuolo.
Ogni sei mesi relazione anche alle Camere
Il testo prevede che ogni sei mesi il commissario trasmetta una relazione al premier, al ministro delegato e alle Camere (destinatario, quest’ultimo, introdotto durante l’esame parlamentare), utilizzando anche i dati disponibili nei sistemi di monitoraggio della Ragioneria generale dello Stato, sullo stato di attuazione della ricostruzione, «anche al fine di individuare ulteriori misure di accelerazione e semplificazione eventualmente da adottare». L’eventuale struttura commissariale – anche questa un’aggiunta dei deputati – «può essere articolata a livello territoriale e, sulla base di convenzioni non onerose, può fornire assistenza tecnica agli enti locali titolari delle funzioni amministrative, correlate alla ricostruzione».
Il piano pluriennale degli interventi
Un piano generale pluriennale di interventi su aree ed edifici, con la determinazione del quadro dei danni e del relativo fabbisogno finanziario, è il primo compito attrbuito al commissario, che deve sottoporre il programma al Governo. Il piano, redatto sulla base di una relazione del capo della Protezione civile e adottato dal commissario di concerto con i ministri interessati e d’intesa con Regioni e Province autonome, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, può prevedere anche misure di delocalizzazione necessarie, in alternativa e nei limiti del contributo concedibile per la ricostruzione, specificando le spese connesse alla demolizione dell’immobile o alla sua gestione. Secondo il Ddl emendato alla Camera, se l’emergenza è stata rappresentata da «gravi eventi alluvionali», il piano degli interventi – che «tiene conto delle esigenze di sviluppo economico e di tutela ambientale» – può pure prevedere «misure di riqualificazione morfologica ed ecologica dei corsi d’acqua», di «rinaturalizzazione dei corpi idrici e degli argini» e di «eventuale ampliamento delle aree di esondazione».
Fonte: Il Sole 24 Ore