Perché la Fed taglia i tassi ma resta prudente

Un taglio a novembre. Un nuovo taglio, meno certo, a dicembre. Sono queste le aspettative dominanti per la politica monetaria della Federal reserve. I Fed funds rates sono passati a settembre dal 5,25-5,50% al 4,75-5%, e potrebbero quindi scendere ora al 4,50-4,75% e al 4,25-4,50% a fine anno, il livello indicato a settembre dalla mediana delle previsioni dei diciannove governatori.

Una lunga marcia verso la normalità

È una previsione ragionevole. Il tasso neutrale degli Stati Uniti, nella situazione attuale, può essere indicato nel 2-2,50% (come in Eurolandia). Il tasso di lungo periodo indicato dalle proiezioni trimestrali, che può essere considerato un obiettivo implicito della politica monetaria, ha puntato per oltre quattro anni a questo stesso livello, anche se è poi salito quest’anno verso l’attuale 2,75-3%.

Politica monetaria ancora restrittiva

Ai livelli attuali dei tassi nominali la politica monetaria resta quindi restrittiva. Anche i rendimenti di brevissimo periodo – che esprimono e realizzano l’orientamento della Fed – sono più alti rispetto al 2023, quando la stretta era in corso, pur essendo calati dai massimi di un anno fa. Il cammino per la normalizzazione è dunque appena iniziato. Il cambio effettivo del dollaro, intanto, è rimasto catturato da uno stretto corridoio durante tutta questa fase.

Inflazione più bassa…

I prezzi hanno intanto dato chiari segnali di rallentamento: l’inflazione complessiva, misurata dall’indice di riferimento Pce, è ormai al 2,1% anche se la flessione della core ha segnato negli ultimi mesi una battuta d’arresto. L’indice dei prezzi “rigidi” calcolato dalla Fed di Atlanta – che per alcuni analisti sono una misura approssimata ma più precisa delle aspettative di inflazione – è ancora al 4% contro un “obiettivo”, la mediana di lungo periodo calcolata sugli anni 2009-2019, del 2,2 per cento.

…ma persistente

È per questo motivo che la Fed continuerà a muoversi con una certa prudenza. Anche le misure di mercato delle aspettative di inflazione segnalano un lieve, ma non certo benvenuto, aumento, accompagnato da una riduzione della dispersione dei dati. Tutte le misure di inflazione sottostante sono inoltre ampiamente sopra il livello medio e mediano di lungo periodo, mentre da luglio i salari orari hanno ripreso a crescere e sfiorano ormai il 4% annuo. L’attività economica non dà inoltre segnali preoccupanti di rallentamento: la flessione nel numero dei nuovi occupati (solo 12mila a ottobre, contro una media dei tre anni precedenti di 228mila) è legata a fattori eccezionali e quasi certamente non ripetibili, mentre la disoccupazione, al 4,1%, resta a livelli bassi (la media di lungo periodo è del 5,7%).

Fonte: Il Sole 24 Ore