Il ko del politicamente corretto e delle élite democratiche

Anche il telaio democratico statunitense mostra le sue difficoltà, il suo malessere interno, forse segni di declino. L’elezione di Trump, un profilo presidenziale già testato di autocrate imprevedibile, sospinge il quadro geopolitico mondiale verso maggior incertezza. A meno di non avere la sfera di cristallo, difficile dire come andranno le cose nei prossimi anni nella società statunitense e a livello geopolitico.

Nondimeno, tra le evidenze alla base delle nostre pratiche certezze, è probabile che l’elezione di Trump potenzierà nella società americana, e forse in tutto l’Occidente, correnti di pensiero populiste, riottose quanto a democratic civicness. Non solo isolazionismo contro la società aperta e protezionismo in beffa delle regole della concorrenza, ma anche razzismo, maschilismo, il verosimile delle fakes al posto del coraggio di dire scomode verità. A sfidare la civicità democratica, non solo immigrati “che mangiano i gatti”, ma anche dopo Hillary nel 2016, Kamala nel 2024. Trump ha vinto una seconda volta su un’avversaria, dimostrando, alla resa dei conti, quanto siano a sesso unico le radici del potere maschile americano (a dispetto di ricerche che lo dipingono tra i meno maschilisti in Occidente). Come è certo, ad esempio, il peso in questa rielezione di Elon Musk, il padrone di X, dove prosperano i bot, profili falsi automatizzati tramite AI.

Razzismo, maschilismo e post-verità sono tra gli ingredienti di quell’odio populista che Trump incarna e inscena contro le élite democratiche americane, in specie quelle chic, del politically correct e della civicness. La sua rielezione, dopo la parentesi accidentata di Joe Biden, testimonia una crisi e un’implosione delle élite democratiche statunitensi, la loro incapacità di mobilitare un barrage democratico di fronte a un leader dai tratti bizzarri, spesso in odore di autocrazia già durante il suo mandato del 2017. Sono riemersi i limiti retorici delle élite democratiche nello sciorinare diritti e doveri a una società ormai altra, rigata dallo scontento populista che guarda piuttosto all’uomo solo al comando, in uno scenario di sordi scricchiolii e lancinanti rischi, sia domestici che globali, della madre delle democrazie occidentali.

Alla fine, una constatazione e una riflessione.

La prima è che, dopo che la democrazia più popolosa al mondo, l’India, ha rieletto meno di sei mesi fa un autocrate come Modi, altrettanto ha fatto la democrazia più potente al mondo, rieleggendo Trump. Entrambi sulle ali populiste, uno ispirato dall’indutwa, l’altro dal credo America first. Ambedue testimoniano la fragilità delle élite occidentali che non riescono a brillare di luce propria ma solo di quella riflessa dal capo. Sta di fatto che anche negli Stati Uniti, come altrove (a esempio in alcuni paesi europei), le élite hanno perso fiducia, consapevolezza e coesione, come osserverebbe Gaetano Mosca, a favore del leader solo al comando. Tutto questo è forse anche un effetto di “trascinamento” in risposta all’autocrazia comunista cinese e a quella imperiale russa.

Fonte: Il Sole 24 Ore