Con il naso all’insù, fra stelle e miti

In cielo corrono eroi e divinità, si inseguono pesci e scorpioni: è il cielo che vedevano i Greci e che ammiriamo anche noi, eredi della loro topografia celeste. È vero, l’inquinamento luminoso rende davvero raro lo spettacolo del buio notturno con il suo foulard di stelle ma, quando c’è, lo stupore è ancestrale. E non ha nulla di diverso rispetto a 2.500 anni fa, per questo il libro di Giulio Guidorizzi su I miti delle stelle ci riporta a un’epoca lontana, eppure così vicina. Così immensamente nostra. Furono i Mesopotamici a studiare per primi il cielo notturno, poi vennero i Greci a mettere un po’ d’ordine e a dare i nomi, che è davvero un modo per prendere le misure all’incommensurabile e il professor Guidorizzi ammette di provare una fascinazione particolare per la mitologia, un po’ come Aristotele: «Più invecchio, e più divento amante dei miti» (fr. 668, Rose).

Verso settentrione

La mappa del nostro cielo è segnata dalla mitologia e basta alzare gli occhi per ritrovare dei, eroi ed eroine. L’Orsa Maggiore, ad esempio, è formata da sette stelle, visibili più che mai, usate dai Greci come bussola verso Nord: per i Latini erano dette anche “i sette buoi”, septem triones (da cui deriva il nostro settentrione). L’Orsa Maggiore sta lassù, così in alto per volere di Zeus che, quando ebbe sconfitto Crono e preso il potere, scelse di ringraziare le custodi – due orse, appunto – che l’avevano protetto da bambino. Le storie sono tante e anche antecedenti ai Greci, come quella del re Licaone che, da varie donne, ebbe cinquanta figli crudeli e selvaggi, ma anche una figlia diversa, Callisto, cioè “la bellissima”, che si unì alle cacciatrici al seguito di Artemide e che venne trasformata in orsa quando, proprio Artemide si accorse che Callisto era incinta di Zeus, che l’aveva sedotta “travestendosi” da Artemide stessa.

Le stelle romantiche

Fra le stelle più “romantiche” le Pleiadi, le sette sorelle del cielo (di cui una scarsamente visibile), narrate così dal poeta arabo Ibn Hamdis (XI secolo): «Spesso la notte guardo le stelle, che sembrano / micce accese o cuspidi lampeggianti. / Vedo le Pleiadi che sorgono e sembrano un filo di sette / perle di cui hai fatto una collana». Ben prima dell’XI secolo gli uomini furono ammaliati da quelle sette sorelle: nella grotta di Lascaux, nella Sala dei Tori (circa 17.000 anni fa) si distingue la figura di un bisonte con il muso levato e sopra sono segnati sei punti in circolo che vengono interpretati proprio come delle stelle, in rapporto forse alla caccia del bisonte. Di certo, invece, sono stelle quelle che un artista del 2000 a.C. circa incise sul Disco di Nebra, trovato scavando una cavità del Monte Mittelberg, vicino a Nebra, in Germania.

A bordo di Argo

Le storie sono tante, più delle stelle e dei miti che le avvolgono. C’è “la cintura di Orione”, tre astri luminosi, chiamati nel Medioevo “i tre re magi”, ma già noti nell’astronomia mesopotamica, da cui deriva il suo nome. Era “Uru-anna” e raffigurava l’eroe Gilgamesh in lotta contro il toro celeste. Saliamo a bordo di Argo, la nave degli eroi, la costellazione più estesa, o veniamo immersi nella storia dell’Idra, la costellazione più estesa ma anche la meno visibile: «Si allunga – scriveva Arato – come un animale e la sua testa arriva sino al Cancro, la spira sotto il corpo del leone e la coda sta sospesa sul Centauro».

Nella parte più alta del cielo, vicino alla Vergine, nel cielo di primavera, brilla una piccola costellazione di stelle poco luminose. Il primo ad individuarla era stato l’astronomo e matematico Conone di Samo che, a metà del III secolo a.C., l’aveva chiamata “Chioma di Berenice”, in omaggio alla regina Berenice, sposa di Tolomeo III re d’Egitto.

Fonte: Il Sole 24 Ore