La creatività è un elemento chiave per il successo, ma richiede allenamento

Da tempo sentiamo con urgenza crescente parlare di creatività come di una necessità anche nelle aziende, al punto che il tema è spesso saldamente nelle agende formative. Ed è un bene, rispetto ai tempi invero ormai lontani in cui era un po’ di moda e piaceva a tutti senza impegnare troppo. La domanda è quindi attuale: detto che unanimemente piace credersi “creativi”, al punto che chi ritiene di esserlo poco ormai lo confessa quasi scusandosene, perché serve esserlo (di più)?

Prima questione: definire la creatività. Come spesso capita con le parole, tutti sappiamo cosa significano ma quando dobbiamo confrontarci sulle definizioni, ne scopriamo tante quante siamo, dissimili e poco sovrapponibili. Io scelgo di dirla con Annamaria Testa, che nel suo bel blog (guarda caso intitolato “nuovo e utile”), ci racconta che “risale agli inizi del secolo scorso una delle prime, e forse ancor oggi la più convincente fra le moltissime definizioni di “creatività”: fa capo al grande matematico francese Henri Poincaré, che nel 1906, in Scienza e metodo, parla di trovare connessioni nuove, e utili, tra elementi distanti tra loro”.

Una celebre citazione di Steve Jobs dice una cosa simile (“la creatività è solo connettere le cose. Quando chiedi alle persone creative come hanno fatto qualcosa, si sentono un po’ in colpa perché non l’hanno fatto davvero, hanno solo visto qualcosa”) ed entrambe indirizzano verso una creatività slegata dal processo artistico e dall’arte, che seppur necessaria alle nostre vite, in azienda può confondere le acque (tranne che nell’industria dell’intrattenimento, ovviamente).

Altro tema: l’innovazione. Se le associamo in modo lineare (e ci potrebbe stare, pensando alle “connessioni nuove”) la creatività rischia di essere quella cosa che serve al reparto “Ricerca & Sviluppo”, o a quelli che lavorano in determinati settori di avanguardia; ma se vendo assicurazioni, o salumi, faccio muri o cos’altro, non mi serve essere creativo perché sono mestieri consolidati. Anzi, alcuni lo sono al punto che la creatività sembra controproducente anche a chi quei mestieri li pratica, se non addirittura cialtronesca (pensate alla finanza che giornalisticamente diventa “creativa” nei protagonisti di comportamenti fraudolenti in quel mondo).

Ebbene, così come molti nostri figli faranno lavori che ancora non esistono con problemi che ancora non conosciamo, ciascuno di noi nel proprio ambito dovrà sempre più spesso confrontarsi con problematiche, necessità e situazioni inedite, in cui la creatività darà un grande supporto. Di fronte all’inedito combinarsi di variabili interdipendenti tra loro e legate da relazioni non lineari, serviranno soluzioni inedite. Senza dibattere in questa sede se la creatività sia più una attitudine, un’indole, un sistema di pensiero, una competenza o una meta-competenza (in soldoni, una competenza trasversale che ci abilita ad utilizzare le altre competenze) vale la pena dirsi che è meglio non lasciarla solo al talento e al caso, e conviene quindi chiedersi come può essere favorita e allenata.

Fonte: Il Sole 24 Ore