Il lavoro femminile cresce, ma è ancora troppo poco (42,2%)

In Italia su dieci lavoratori le donne sono solo quattro. A confermarlo con cristallina chiarezza sono i primi dati sull’occupazione 2021 diffusi dall’Istat ed elaboratori dalla Fondazione Moressa. Il “bicchiere mezzo pieno” dice che dopo la forte diminuzione del 2020 determinata dalla pandemia (-724 mila, -3,1% rispetto al 2019), in media nel 2021 l’occupazione è tornata a crescere di 169 mila unità (+0,8% rispetto al 2020). Il “bicchiere mezzo vuoto” invece ci dice che se analizziamo il trend di più lungo periodo il recupero non ha ancora compensato le posizione perse: i 22.554.000 lavoratori dei 2021 sono sotto il dato dei 22.959.000 del 2018. In questo quadro perdono tanto gli uomini (13.044.000 contro 13.282.000) quante le donne (9.510.000 contro 9.677.000).

La ripartizione

Analizzando dove si concentra la crescita per i due segmenti dell’occupazione – maschile e femminile – emerge che l’incremento dell’occupazione femminile appare più strutturale: «L’occupazione femminile – rileva il report della fondazione Moressa – è infatti concentrata nei servizi (oltre il 70% di occupate), mentre l’occupazione maschile è presente in modo più sostanziale anche nell’industria e nelle costruzioni. Ma mentre l’occupazione femminile cresce in quasi tutti i settori (solo il commercio riporta segno negativo), la crescita occupazione maschile è dovuta quasi esclusivamente al settore delle costruzioni».

Dov’è dunque il vulnus? Nell’esiguità di questa componente sul totale: l’incidenza del 42,2% resta ancora troppo bassa. Ma non solo è preoccupante la situazione di alcuni contesti territoriali. Perché se è vero che «sono molte le regioni che segnalano incrementi importanti di occupazione femminile e molte riguardano il Sud», l’incidenza complessità in alcune regioni come ad esempio la Campania (35,3%), la Sicilia (35,8%) e la Calabria evidenziano una drammatica marginalizzazione del lavoro femminile.

La certificazione di parità

Un nuovo impulso potrebbe tuttavia ora arrivare dall’attivazione di una delle misure del Pnrr, prevista dalla missione 5 con una copertura finanziaria di 10 milioni di euro: si tratta della certificazione di parità. Il 24 marzo è stata infatti delineata la prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, che definisce criteri, prescrizioni tecniche ed elementi funzionali alla certificazione di genere. Un passaggio necessario, questo, all’entrata in vigore di uno strumento che permetterà alle imprese che promuovono il lavoro femminile e le pari opportunità di avere vantaggi fiscali. Come funzionerà? In concreto, le prassi definiscono i sei driver necessari per stabilire la concessione della certificazione. Sono:

1 il rispetto dei principi costituzionali di parità e uguaglianza;

Fonte: Il Sole 24 Ore