Il carbone vegetale del Crea ridurrà il fabbisogno idrico dei terreni del 20%

Urbanizzazione, inquinamento e cambiamenti climatici stanno mettendo a rischio la risorsa più preziosa e indispensabile per la vita e l’agricoltura. A livello globale, l’acqua è un bene fortemente a rischio proprio per l’uso eccessivo che ne viene fatto nei campi: si stima, infatti, che l’agricoltura rappresenti oltre il 70% dell’utilizzo idrico e che, con la crescente domanda di cibo, l’uso dovrebbe aumentare ulteriormente causando nuove tensioni sociali e ambientali.

Secondo la Fao, negli ultimi vent’anni le riserve mondiali di acqua dolce sono diminuite di oltre il 20% e continueranno a diminuire a causa dei cambiamenti climatici in atto, legati in particolare all’assenza di precipitazioni invernali, che creano riserve d’acqua per le successive irrigazioni, e alla siccità. Per arginare la carenza idrica, la ricerca sta studiando nuove strategie per l’uso razionale dell’acqua, che si affiancano alle soluzioni già offerte dall’agricoltura di precisione.

In Italia il Crea, il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, sta promuovendo con il supporto del ministero delle Politiche agricole e dei fondi del Recovery Plan un progetto, denominato “Water4AgriFood”, che punta sul miglioramento delle produzioni agroalimentari mediterranee in condizioni di scarsità d’acqua. Il progetto fa leva sull’uso di un carbone vegetale (il biochar) ottenuto dalla decomposizione delle biomasse vegetali, che riduce il fabbisogno idrico dei terreni fino al 20 per cento.

«A fronte di una limitata superficie di terra coltivabile e della scarsità delle risorse di acqua dolce – sottolinea l’ultimo rapporto Fao, che traccia un quadro allarmante sullo stato delle risorse idriche globali – intensificare il ricorso alle tecnologie e all’innovazione è di vitale importanza. Occorre innanzitutto potenziare l’architettura digitale necessaria a fornire dati e informazioni essenziali e soluzioni per l’agricoltura basate sulla scienza, che sfruttino pienamente le tecnologie digitali e risultino neutrali dal punto di vista climatico».

Stando al rapporto, se si continuasse sulla rotta attuale, l’aumento del 50% della produzione di cibo necessario a sfamare la popolazione mondiale potrebbe comportare un incremento fino al 35% del consumo di acqua per scopi agricoli. Ciò a sua volta potrebbe causare disastri ambientali, inasprire la concorrenza per lo sfruttamento delle risorse e alimentare nuove crisi e conflitti sociali. A dispetto dei tentativi in atto nei Paesi avanzati di produrre cibo in laboratorio «in futuro la sicurezza alimentare – dice il direttore generale della Fao Qu Dongyu – dipenderà dalla nostra capacità di salvaguardare le risorse terrestri, idriche e del suolo».

Fonte: Il Sole 24 Ore