Africa, il diritto negato alla salute mentale: uno psichiatra ogni 500mila abitanti

Lunacy act, la legge sui «lunatici». Si chiamava così il provvedimento approvato nel 1958 in Nigeria, agli sgoccioli del colonialismo britannico, per disciplinare il trattamento dei pazienti affetti da disturbi psichiatrici. Il principio della cura era che, appunto, non ce ne dovessero essere: la legge non contemplava interventi terapeutici e prescriveva la detenzione degli «idioti», l’altra definizione adottata per descrivere chiunque fosse affetto da disabilità intellettive o psicosi. È servito oltre mezzo secolo perché Abuja superasse il testo, sostituendolo nel 2023 con il Mental Health Act:  la prima legge sulla salute mentale approvata nel paese più popoloso dell’Africa, dopo un doppio flop dei tentativi di riforma avviati nel 2003 e nel 2013.

La Nigerian Mental Health, un’organizzazione che ha spinto sulla revisione, ha riconosciuto al presidente in uscita Muhammadu Buhari di «aver fatto la storia» firmando una legge che tutela i pazienti e vieta le discriminazioni su casa, lavoro o l’accesso all’assistenza medica. Ma il timore è che il provvedimento resti sulla carta, incagliandosi sui limiti materiali e culturali del diritto alla salute mentale nel paese: dalla carenza di risorse finanziarie ai tabù che ostacolano il riconoscimento dei disagi mentali sofferti da quote crescenti della popolazione. In Nigeria e nel resto dell’Africa subsahariana, una regione riemersa con numeri ancora più allarmanti dalla crisi del Covid e le sue ricadute sulla salute mentale. Soprattutto quella di adolescenti e bambini, sottolinea l’Organizzazione mondiale della sanità.

In Africa uno psichiatra ogni 500mila abitanti

I limiti di risorse sono i più visibili. In tutta la Nigeria si contano 300 psichiatri per una popolazione di oltre 200 milioni di persone, una proporzione che si aggrava ulteriormente su scala continentale. La stessa Oms stima che in Africa sia disponibile uno psichiatra ogni 500mila abitanti, una media inferiore di 100 volte alle raccomandazioni espresse dall’organizzazione di Ginevra. I governi africani, secondo una stima diffusa dal World Economic forum, investono in media l’1% o meno del proprio budget sulla salute mentale, con spesa media di 46 centesimi di dollaro Usa per persona nel 2022: neppure un quarto dei 2 dollari Usa consigliati dall’Oms. Oltre agli specialisti in senso stretto mancano il personale sanitario e le strutture dedicate all’accoglienza, un vuoto che è andato in crescita negli anni antecedenti alla pandemia di Covid.

Uno studio pubblicato dal Journal of Global Health, una rivista scientifica, ha registrato che il tasso mediano di posti letti per pazienti psichiatrici nell’Africa subsahariana è calato dai 3,2 ogni 100mila persone del 2000 ai 2,2 ogni 100mila persone nel 2020. Prima dell’emergenza sanitaria, stima l’Oms, si contavano almeno 116 milioni di africani in condizioni di disagio mentale. Gli anni della pandemia hanno aumentato del 25% su scala globale i casi di depressione e ansia, con effetti tangibili anche su un Continente che pure ha sofferto, ufficialmente, meno contagi rispetto alla media internazionale. I dati più allarmanti arrivano dai suicidi. Joseph Cabore, direttore del programme management dell’ufficio africano dell’Oms, ha dichiarato che il Continente registra il più alto tasso di suicidi al mondo: 11 ogni 100mila abitanti ogni anno, sopra a una media mondiale di 9 ogni 100mila abitanti. Una epidemia nell’epidemia che non viene affrontata, se non con gli strumenti della repressione politica. Proprio nella Nigeria che festeggia il nuovo Mental Health Act, il tentativo di togliersi la vita è punibile con un anno di carcere.

Lo stigma culturale e la rimozione del problema

Il secondo limite è quello culturale, la rimozione prolungata dello stesso diritto alla salute mentale. Olugbenga A. Owoeye, direttore dell’ospedale neuropsichiatrico di Yaba, nello stesso nigeriano di Lagos, ha dichiarato che il 25% della popolazione nazionale potrebbe soffrire di qualche forma di disordine mentale: l’equivalente di 50 milioni di persone con un disagio che non è stato quasi mai diagnosticato, dalle forme di stress o fobia più lievi a casi di schizofrenia. «C’è una grande negligenza storica sulla salute mentale in Africa, perché non c’è mai stata la volontà politica di affrontarla» dice al Sole 24 Ore Ben Weobong, senior lecturer al dipartimento di scienze sociali e comportamentali dell’Università del Ghana. D’altronde, aggiunge Weobong, «se non capisci qualcosa, è facile sottostimare il problema. E arriva anche da qui lo stigma verso chi soffre di disturbi mentali, anche se non è una caratteristica solo dell’Africa».

Fonte: Il Sole 24 Ore