Congo-Brazzaville, il blocco dei pagamenti alle aziende mette a rischio l’import di gas

I soldi ci sono. Ma in una valuta diversa e, soprattutto, «congelati» sui conti correnti di un altro Paese, in attesa di un’autorizzazione che non arriva da mesi. È l’incastro burocratico che sta intralciando il flusso di pagamenti per le operazioni svolte da aziende straniere, incluse alcune italiane, nella Repubblica del Congo, il Paese dell’Africa centrale che confina con la quasi omonima Repubblica democratica ed è noto per le sue riserve energetiche.

Il rischio più immediato, secondo la denuncia di operatori in loco, è che si arrivi al blocco completo dell’import più prezioso dal Paese: quello di gas e petrolio, oggetto di investimenti di peso anche dell’italiana Eni e nel mirino della «missione» di diversificazione avviata dall’allora ministro degli Esteri Di Maio con lo scoppio della guerra in Ucraina nel febbraio 2022. Secondo dati aggiornati al 2021 dell’Opec, l’organizzazione che riunisce i principali Paesi produttori di oro nero, il Congo gode di riserve di greggio pari a 1,8 miliardi di barili e di gas naturale per 284 miliardi di metri cubi, con il solo export petrolifero capace di generare 5,7 miliardi di dollari Usa in proventi nello stesso 2021.

Il cortocircuito del denaro «bloccato» in Congo

Il cortocircuito è emerso quando, a inizio 2023, le autorità locali hanno imposto alle aziende straniere di ricevere i propri compensi in valuta locale, il franco congolese, aprendo un conto corrente negli istituti bancari del Paese. Il dettaglio è che il trasferimento all’estero delle somme richiederebbe un’approvazione Banca degli Stati dell’Africa Centrale, l’istituzione che sovrintende gli istituti di Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo.

Una formalità? L’esatto contrario, a giudicare dai tempi di attesa che si traducono – secondo la denuncia delle aziende – in un blocco tout-court dei compensi erogati. L’istituto non ha mai chiarito ufficialmente da cosa derivi la “latitanza” di un via libera che dovrebbe rientrare nella routine, ma una delle ipotesi avanzate è che si tratti di una carenza di valuta estera. I compensi ricevuti in loco devono essere convertiti in euro o dollari Usa, ma la carenza di riserve in divisa estera rallenta i tempi.

Su scala italiana la denuncia è stata espressa da Confitarma, l’associazione che riunisce gli armatori. Un settore di una certa delicatezza, visto il ruolo svolto nel trasporto di gas naturale verso l’Italia e il peso in crescita del Congo in forniture energetiche che compensino quelle perse dalla Russia. L’accordo siglato da Eni nell’aprile 2022 con le autorità congolesi prevede «accelerazione e aumento» della produzione di gas nel Paese, con sviluppo di un progetto di gas naturale liquefatto che dovrebbe generare a regime 4,5 miliardi di metri cubi l’anno. Una disponibilità che potrebbe incagliarsi al momento dell’esportazione, almeno secondo quanto contestano le aziende.

Fonte: Il Sole 24 Ore