Sei start-up italiane a Houston. Cresce sempre di più l’economia dello Spazio

Sei startup e pmi italiane del settore spaziale stanno mettendosi alla prova del mercato americano: sono a Houston, città simbolo del programma di esplorazione lunare Apollo, dall’inizio di settembre, per una full immersion che durerà cinque settimane e finirà con un incontro con i maggiori venture capitalist del settore.
Sono lì grazie all’iniziativa “Space it Up” , un programma di accelerazione di impresa e internazionalizzazione partito dall’Istituto per il Commercio Estero italiano, ICE, che ha in quella città un efficiente ufficio, e ovviamente anche dall’Agenzia Spaziale Italiana, Asi, che supporta le nostre imprese e ha programmi specifici per le Pmi, se ne contano più di 250 nel nostro Paese. Il partner americano, è la Space Foundation, importante associazione fra tutti gli stakeholder di questo effervescente e sempre più ricco settore.
Per selezionare le sei aziende da portare a Houston, fra quelle che avevano risposto al bando pubblico di ICE, gli organizzatori si sono basati sulla capacità di comunicare con i tutor americani, sulla maturità del business plan dell’azienda stessa, sul grado di innovazione della proposta, insomma sulla capacità di mostrare al mercato americano serietà imprenditoriale. Comunque vada Ice impone che il core business resti in Italia almeno per 36 mesi.
L’impegno non è da poco, si tratta di rimanere 5 settimane a Houston con uno o più rappresentanti, interagire continuamente con la Space Foundation per capire il mercato americano, le sue caratteristiche, migliorare il business plan, incontrare il capitale privato, che in genere non fa sconti o complimenti, e arrivare con idee e progetto a posto al 27 settembre per un run conclusivo con chi potrà dare un sostanzioso aiuto ai loro sogni.
Dovranno quindi anche chiarirsi, le sei aziende, che cosa vogliono da questa iniziativa, se sono soldi, conoscenza o legami e relazioni, praticamente impossibili da sviluppare stando solo in Italia. Perché la cifra della Space Economy è quella di essere un business globale.
Rispetto a quello italiano, spesso lento anche perché legato sostanzialmente ai fondi pubblici, quello americano è di tutt’altro genere. E’ vero che se hai una buona idea e dimostri che potresti realizzarla ti arrivano, probabilmente, i capitali per farlo, ma è anche vero che il mercato delle startup lì è tremendamente selettivo e la moria è altissima: se non riesci a dimostrare di saper fare semplicemente “muori”.
L’investimento nello spazio richiede tempi lunghi per il ritorno, e questo frena molto anche il settore bancario, che anche non conosce bene il settore. Anche qui la situazione in Italia è in netto miglioramento e importanti Istituti bancari del nostro Paese hanno uffici studi che si interessano alla Space Economy.

Fra le sei aziende selezionate, impegnate a pieno ritmo a Houston, troviamo T4l, un avviato spin-off dell’Università di Padova che sviluppa sistemi di propulsione innovativi, per microsatelliti, e razzi ibridi, che ha appena firmato un’importante collaborazione con l’italiana Avio, leader del settore.
Arca Dynamics vuole offrire invece servizi di monitoraggio del traffico aerospaziale e di osservazione della Terra usando nanosatelliti proprietari.
Novac sviluppa invece supercondensatori solidi, modellabili per alte performance che possono anche integrare le batterie nei veicoli elettrici per consentire rilasci immediati di energia.
Nabu , di Torino, integra all’interno di un’unica piattaforma dati e informazioni che ottimizzano i processi di irrigazione in agricoltura.
Delta Space Leonis è la più giovane dal punto di vista anagrafico, Davide Nejoumi che la illustra è ancora studente di ingegneria aerospaziale, ha un progetto sviluppato grazie a fondi della Regione Lazio. Si tratta di un sistema di pico satelliti, blocchetti di 5×5 come dimensioni e un quarto di chilo come massa, capaci di costruire una costellazione utile per l’agricoltura, il monitor di ponti e strade e altro, il tutto sviluppabile con costi molto bassi. La stessa società sta testando anche un deployer per i picosatelliti, per distribuirli nelle orbite prescritte con un unico lancio. Cinque i giovani soci, con un mix bilanciato di conoscenza economica, finanziaria e ingegneristica, entusiasti di quel che stanno apprendendo a Houston. Sperano di arrivare a un possibile finanziamento che permetta l’indipendenza economica in Italia, il portavoce parla di 2.5 milioni di dollari.
Involve Space sviluppa invece il suo progetto Strato Stata, una piattaforma pseudo-satellitare che va in quota, 20 – 50 chilometri dal suolo, grazie a un pallone sonda che può spostarsi grazie ai venti, e a un software di AI che lo controlla, sia, caratteristica impossibile per un satellite, rimanere sopra un’area determinata per tutto il tempo che è necessario. Alla piattaforma sospesa può essere quindi aggiunta una telecamera per riprese o altro strumento utile per monitorare il suolo. Restando sostanzialmente ferma su una verticale prescelta può essere utilizzata per seguire, per esempio, l’evolversi di un evento naturale sfavorevole, come un’alluvione che duri più giorni. Si tratta di una sorta di “occhio volante”, come lo definisce Jonathan Polotto che è a Houston per la Involve Space e che spera di poter anche valutare in queste settimane se sia opportuno aprire una succursale Usa, se ci sarà interesse da parte dei finanziatori.
Una delle caratteristiche interessanti e positive delle aziende che hanno accettato il trasferimento per cinque intense settimane di attività è l’età dei partecipanti, praticamente tutti sotto i 30 anni e già questo indica come in questo campo, che oggi è in piena espansione, le regole del gioco stanno cambiando velocemente.

Fonte: Il Sole 24 Ore