Fendi e la nuova sobrietà, Marras e Ferretti felicemente fedeli a se stessi

Fendi e la nuova sobrietà, Marras e Ferretti felicemente fedeli a se stessi

Parlare di ciclicità, in materia di estetica dominante, è ovvio quanto necessario. Schematizzare riduce la vitalità dei fatti e delle mode ad un diagramma esangue, ma è pur vero che le alternanze sono tangibili, quindi reali. L’onda lunga degli eccessi plateali a favor di social – logo cubitali, gender-bending sfrenato ma inconcludente, teatralizzazione del quotidiano – si è da ultimo infranta contro una improvvisa voglia di semplicità. Non a caso da che era plateale il lusso, in chiave fashion, richiama adesso l’aggettivo quieto. Se non è un penitenziagite (abbreviazione in volgare della frase latina poenitentiam àgite, fate penitenza), siamo lì vicini. Di repulisti si tratta, bello e buono.

Il calendario delle sfilate della settimana della moda milanese per la primavera-estate 2024 si è aperto di fatto ieri (martedì era stato riservato ad eventi dedicati soprattutto ai giovani stilisti) all’insegna di un movimento sottrattivo, di una ricerca di purezza, che a tutta prima rasserena. Alla lunga, certo, potrebbe annoiare: il semplice, se mal maneggiato, rischia di diventare noioso, o ordinario.

Da Fendi la sobrietà assoluta ha un che, ci si passi l’ossimoro, di gioiosamente luttuoso. Fasciate ad arte dentro tubini e maglie che scoprono porzioni di pelle, avvolte in blazer e spolverini aerei, le donne immaginate dal direttore creativo Kim Jones, annunciate come libere e romane, paiono allegre beghine con i guantini arancio e lampi acrilici che illuminano i grigi pallidi e rinunciatari, le scarpe a punta, le borse orgogliosamente esibizioniste. Si apprezza la precisione, e la sottigliezza del senso cromatico, ma l’esuberanza capitolina che è tratto sostanziale del dna Fendi sembra ancora una volta assente.

Alberta Ferretti, la quale, va detto, non è mai stata incline agli eccessi, semplifica e alleggerisce ripartendo dalla metaforica tela bianca della camicia maschile, dalle righe che la percorrono, dal popeline di cotone che la simboleggia. La sfilata apre pragmatica e mascolina, senza orpelli ma con molta grazia, e diventa man mano più aerea, drappeggiata, impalpabile, perdendo però semplicità.

Eterno araldo di una carnalità invero molto italiana, o meglio partenopea – neorealista, da tinello invece che plateale, e per questo intensa, potente – da N°21, marchio dello stilista Alessandro Dell’Acqua, gioca con il dualismo di Napoli, con i suoi matrimoni e comunioni, l’aristocrazia, le strada sgarrupate. È una fantasia su scarpe piatte che seduce: seppur piena di echi pradeschi, ha un segno personale.

Fonte: Il Sole 24 Ore