Haiti, l’antica perla delle Antille da scoprire, vivere e proteggere
Escludendo la Corea del Nord e poche altre, Haiti è una delle rare nazioni per le quali il sito Viaggiare Sicuri del ministero degli Esteri sconsiglia assolutamente il viaggio: «Per qualsiasi ragione», è sottolineato. Ed effettivamente le notizie in arrivo dalla capitale, Port au Prince, parlano di una perdurante instabilità politica, di una crisi economica evidente e, soprattutto, di episodi di violenza da parte di gang criminali che le forze dell’ordine faticano a contrastare. La situazione non è certamente facile, eppure chi scrive è entrato e uscito da Haiti senza aver provato alcuna sensazione di pericolo.
La storia e il fascino di un paese
Forse perché, ad Haiti, ci siamo stati con Luca Gargano, presidente di una delle più importanti realtà che operano nel settore dell’importazione di distillati e liquori in Italia, la genovese Velier. Gargano ai Caraibi è di casa come, e forse più, che tra i “caruggi” di Genova e ad Haiti ha amici e partner. Da Herbert Linge della distilleria di Port au Prince a Michel Sajous che, nel Nord del Paese, produce l’omonimo clairin, ovvero il rum di Haiti. Chiamato così, alla francese, perché i francesi dominarono a lungo questa parte di isola confinante con una Santo Domingo ricca di alberghi e di tutte le comodità che europei e americani si aspettano sempre dai Caraibi. Ma Haiti ha una storia diversa: è l’unico posto al mondo dove gli (ex) schiavi hanno vinto la loro guerra di liberazione e hanno abolito la schiavitù. Prima degli Stati Uniti, tanto per dire. Tuttavia questa vittoria l’hanno pagata a caro prezzo, con due secoli di isolamento che hanno depresso radicalmente l’economia di Haiti, ma che, come abbiamo scoperto, non ne hanno distrutto lo spirito e non ne hanno cancellato il fascino spettacolare, la biodiversità eccezionale, e il sorriso a occhi sgranati dei suoi figli più piccoli.
Natura e spiagge
Haiti è spiagge di sabbia candida non ancora invase da lettini e ombrelloni, è cucina autentica, senza commistioni di sorta, è il ritmo dei tamburi che celebrano le cerimonie voodoo. Haiti sono i pescatori che su gusci di noce e vele spesso di plastica affrontano il mare, sono i calciatori del campionato nazionale con scarpe tutte diverse, sono le signore che dai loro villaggi scendono al mercato per vendere il rapadou, cilindri di zucchero di canna ottenuti trasformando il succo della pianta in sciroppo, per poi lasciarlo asciugare al sole e avvolgerlo infine in larghe foglie di palma. Haiti è quella delle donne che vendono foglie di tabacco, carbonella di legna o mais macinato con cui si cucina quel mais moulen, una sorta di polenta morbida, che accompagna più o meno tutto, dalle carni di capretto al pesce al lambi, un mollusco che abita grosse conchiglie e che viene lessato o grigliato.
Distillati e distillerie
Ma Haiti è, appunto, soprattutto il clairin, un distillato di canna da zucchero unico al mondo. Per molte ragioni: la prima è che, in virtù del suo isolamento, le varietà di canna coltivate da queste parti sono le stesse arrivate dall’Europa secoli fa. Nessuna ibridazione volta a ottenere maggiori prestazioni. La canna si coltiva attorniata dalla ricca vegetazione locale, fatta di palme, alberi di anacardi e dominata da enormi alberi di mango e si raccoglie a mano, a colpi di machete. Alcune distillerie ne usano direttamente il succo freschissimo, altre prediligono lo sciroppo e la vinasse, ovvero il residuo alcolico di una precedente distillazione. I lieviti che servono alla fermentazione sono quelli presenti nell’aria. Fanno tutto da soli, senza che l’uomo debba intervenire. Il clairin oggi arriva anche in Italia e i suoi profumi e il suo gusto inconfondibili cominciano a essere apprezzati pure da noi. Ma sono soprattutto apprezzati dalla popolazione locale, considerando il fatto che, sotto tetti quasi sempre di lamiera solo a volte protetti dall’ombra degli alberi, ci sono oltre cinquecento alambicchi accesi ad Haiti, contro i circa cinquanta di tutto il resto dei Caraibi. Le piccole distillerie haitiane, le cosiddette guildive, rappresentano insomma quello che da noi erano un tempo i panifici e le drogherie di paese. Il clairin ad Haiti è dunque sostegno e conforto, alimento e celebrazione di un popolo indomito nonostante un sistema politico fragile quanto le case distrutte dai più recenti terremoti. Ma è anche un segno di quanto questa nazione troppo spesso dimenticata dalle cronache internazionali sia viva e vitale, la sua natura e la sua gente orgogliosa e ospitale. Certo, non è ancora questo il tempo di considerare Haiti una meta per una vacanza, ma la speranza è che presto lo sia. Tuttavia, per quando ciò accadrà, quello che conta maggiormente è comprendere come un ecosistema così fragile e allo stesso tempo ricco, una cultura fatta di suoni e colori “antichi”, meritano un rispetto e una cura assoluti per evitare di travolgerli con il nostro consumismo sfrenato, con i nostri bisogni indotti e le nostre comodità superflue. Haiti era un tempo la più ricca colonia francese d’oltremare: esportava zucchero, tabacco, cotone e cacao; era “la perla delle Antille” e ci sono tutte le premesse perché possa tornare ad esserlo. Ma che lo resterà anche per le prossime generazioni dipenderà solo da noi.
Fonte: Il Sole 24 Ore