Due lavoratori italiani su tre soffrono di stress e burnout. Ma poco se ne parla

I dati, in effetti, lasciano chiaramente intuire una situazione di disagio. Il 22% dei lavoratori italiani si sente ancora (molto) a disagio nel parlare della propria salute mentale con i propri manager di riferimento mentre della metà di coloro che hanno comunicato al datore di lavoro i propri sintomi da stress, uno su tre (il 30%) afferma di non aver ricevuto supporto. Diventa pertanto vitale dare concretezza a progetti volti a creare un ambiente lavorativo sicuro, solidale e orientato all’ascolto (il 67% dei dipendenti auspica che i propri manager si occupino regolarmente del loro benessere), a cominciare dallo strutturare piani di formazione in grado non solo di prevenire il burnout dei collaboratori ma soprattutto di aiutare i leader aziendali a captare tali segnali e ad adottare comportamenti che ne minimizzino il rischio.

Prendersi cura del benessere psicofisico dei lavoratori

«Le competenze digitali – spiega in proposito Carnovale al Sole24ore – sono essenziali per svolgere il proprio lavoro ma le soft skill lo sono altrettanto per farlo in modo efficace e duraturo. Il fenomeno del quiet quitting ci dimostra in tal senso come le persone siano propense a lasciare il proprio posto di lavoro quando avvertono una mancanza di attenzione al loro sviluppo personale. L’investimento per l’aggiornamento tecnico dei talenti è percepito in molti casi come qualcosa di naturale, ma se si investe solo in questa direzione senza prendersi cura del loro benessere psicofisico, a lungo andare, questi ultimi saranno tentati di cercare un ambiente di lavoro più sano, portandosi via la propria esperienza e competenza».

L’impatto della crescita personale sul grado di felicità lavorativa è non a caso un altro dei temi messi sotto osservazione dallo studio. E i dati sono eloquenti anche in questo ambito: quattro dipendenti italiani su cinque vedono una correlazione tra l’essere felici mentre si svolge la propria professione e l’impatto sul proprio benessere generale, sottolineando il forte livello di interconnessione fra lavoro e vita privata. Il benessere finanziario/economico, come dicono anche altri studi in materia, continua a svolgere un ruolo fondamentale nella soddisfazione lavorativa (è di questo avviso il 74% degli intervistati) ma l’importanza dello sviluppo personale è in costante crescita (lo certifica l’81% dei dipendenti) e oltre tre quarti dei professionisti pensano che questo aspetto potrebbe aumentare la loro felicità sul lavoro.

A che punto siamo in Italia?

A che punto sono i manager italiani, viene dunque da chiedersi, nel percorso che si è reso necessario per essere più “vicini” ai propri collaboratori? A precisa domanda, la risposta di Carnovale è altrettanto esplicita: «Confrontandoci con migliaia di aziende diverse per settore, dimensione o struttura organizzativa, notiamo che la strada verso un mondo professionale aperto e trasversale nel nostro Paese è ancora lunga. Molti leader affermano di comprendere l’importanza di intraprendere questo percorso ma percentualmente sono ancora pochi quelli che hanno investito tempo nel formarsi in modo strutturato su questo tema». E i risultati, viene purtroppo da dire, si vedono.

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Fonte: Il Sole 24 Ore