A Ferrara il Festival di Internazionale diventa maggiorenne

La necessità di tornare alle contraddizioni del reale con un approccio interpretativo, mosso da dubbi contro presunte verità per smontare narrazioni inique, come ha dimostrato Emmanuel Carrère con “V13” (Adelphi, 2023, pp. 267, euro 20) superando qualsiasi fiction o schema romanzesco del Novecento terminale, si è avvertita forte e chiara sui palchi del Festival di Internazionale a Ferrara. È la mancanza di coerenza a ogni livello sociale a togliere bellezza dall’esistenza dell’individuo, a svilirla. D’altronde, ogni esperienza vissuta sposta i limiti di ognuno; per cui il ruolo dell’intellettuale oggi non può non avere a che fare con una rivoluzione personale, in primis, rispetto al contesto in cui è immerso, esponendosi a ogni forma di frustrazione. La sua funzione è assimilabile a quella del canarino nelle miniere, ingabbiato e ignaro davanti al minatore, dentro il buio per trovare una strada percorribile, per trovare sempre e comunque uno scorcio di umanità, garantendo al “prossimo” una prospettiva nel tempo.

Organizzata dal settimanale “Internazionale”, la manifestazione ha esplorato una trama articolata di temi, dalla geopolitica all’ambiente, dalla gender revolution al femminismo, dall’urbanistica alla poesia, dall’intelligenza artificiale alle migrazioni, dai diritti al cibo che mangiamo: e l’edizione 2024 si è conclusa con settantanovemila presenze, centoquindici eventi e tutti gli appuntamenti sold-out, e per fulcro dell’evento la “ricerca di nuove prospettive di pace”.

Mosca terza Roma

La guerra che si riversa fuori dai confini russi in un tentativo di contrastare la mobilitazione, l’incertezza che matura dentro, sotterranea, e scava trincee che crivellano il terreno su cui poggia il pesante piede del regime di Putin. Il dibattito “Oltre il Cremlino” si è infilato in quei cunicoli, con Federico Varese, Marta Allevato e Marzio G. Mian, raccontando la discrasia tra la propaganda di Mosca “terza Roma”, baluardo e avamposto della tradizione nonché vittima dell’affronto occidentale, e la vita reale dei cittadini – con dei corpi desideranti anche fuori dai confini del concesso. Le azioni di resistenza che tengono viva una Russia non assuefatta alla coltre propagandista innervano la società come ife di un fungo, materia organica che trova modalità altre di trasmettersi ed emergere, sulla scia dei “samizdat”, così la letteratura proibita che circolava copiosa nel periodo staliniano che, non a caso, è oggetto di revival da parte della propaganda ufficiale e dei suoi proseliti. Al pari di una rete neuronale alternativa alla stolidità dell’informazione artefatta e mainstream, plastica, vitale e capace, soprattutto, di elaborare il pensiero che contrasterà ogni ideologia deterministica rispetto alla storia sovietica pregressa, contro il dogmatismo di un’Europa incagliata in visioni geopolitiche pigre.

La miseria argentina

Nel talk “Paranormale” Martín Caparrós ha intrecciato in una narrazione tragicomica i fili del racconto delle avventure di Xavier Milei, eletto presidente – quasi a sorpresa – di un’Argentina esasperata che giusto riesce ad affidarsi al cartonato bizzarro di una macchietta impegnata, si direbbe, ad attirare su di sé ogni attenzione con pose e attitudini ai limiti del buoncostume. L’ossimoro dell’anarco-capitalismo e Capitan An-Cap, la sega circolare brandita per “abbattere lo stato”, l’ideale del mercato come unica forza reale, “pura”, scevra di interessi in quanto interamente fatta di interessi, tutto ciò altro non sembra che la nuova distopia di un paese, e di quel continente descritto da Caparrós in “Ñamerica” (Einaudi, 2022, pp. 728, euro 25), in cui nell’ultimo ventennio non c’è stato granché da sognare. In un contesto di impoverimento della capacità collettiva di immaginare nuove utopie, l’unica via di fuga è rimasto il riso folle, suscitato dalle politiche economiche di Milei. E ci sarebbe da riderne se queste ricette non avessero incrementato di dieci punti in poco più di un anno la quota di cittadini argentini sotto la soglia di povertà, che ha raggiunto un devastante 52%; un’Argentina in cui due terzi della popolazione sotto i quindici anni non si nutre a sufficienza e in cui ogni scintilla di pensiero si spezza sotto i colpi di una fame reale.

Pezzi di Capitale

A rispondere è stato l’emozionante reading “Pezzi di Capitale”, con Nicola Borghesi (Kepler-452) e il collettivo di Fabbrica dei lavoratori della GKN di Campi Bisenzio, tratto da “Il Capitale, un libro che non abbiamo ancora letto”. Lo spettacolo inscena le storie dell’ordinario sfruttamento del capitale lontano, ignoto, privo dei volti, del puzzo e del rumore che fa della fabbrica un luogo in cui riuscire a sopravvivere, oltre a quelle del licenziamento freddo e impersonale – sacrificio sull’altare dei fondi di investimento – da cui prorompe, calda e accogliente, la voce degli operai che come una trasfusione ritornano a far pulsare le vene svuotate del capannone. “Questa lotta sicuramente la perdiamo a meno che voi non ci diciate come state”: voi riders, voi precari, voi ancora, per vostra fortuna o forse no, immersi nel flusso fagocitante del Capitalismo che produce, produce, produce, “Pezzi, pezzi, pezzi”: monadi sbandate a cui si oppone la potenza giocosa del “noi” del Collettivo di fabbrica, che recupera il tempo e fa del teatro, dei piani di reindustrailizzazione, dei pentoloni di ragù di pecora per l’intera assemblea lo sberleffo supremo all’utilitarismo bieco del Capitale. “Più loro [i fondi di investimento, le nuove proprietà] erano nulla, più noi facevamo tutto”, per dimostrare l’inesattezza del calcolo di fronte alla variabile umana, dello spiraglio, ingigantita dalla particella gravitazionale di quel “noi”: “una prima persona plurale, collettiva, responsabilizzante”.

Fonte: Il Sole 24 Ore