A Palazzo Strozzi l’anarchia pittorica di Helen Frankenthaler
“Dipingere senza regole”: il titolo della retrospettiva fiorentina aperta da poco a Palazzo Strozzi presagisce in tre parole il cuore pulsante della filosofia di Helen Frankenthaler (1928-2011), regina dell’espressionismo astratto e del Color Field Painting. Figura portante dell’arte americana del dopoguerra, la Frankenthaler perfeziona la tecnica della pittura soak stain – “imbibizione a macchia”– come nell’opera presente in mostra “Moveable Blue”, prodigiosa gamma di blu e aranci che si fondono e mischiano secondo le tecniche condivise negli anni Cinquanta da Pollock.
Una grande tela stesa sul pavimento e l’utilizzo di vari materiali e attrezzi rendono le opere della Frankenthaler un trionfo di astrazione poetica capace di combinare improvvisazione e controllo a tecnica e immaginazione sconfinata: la formula magica perfetta, quel je ne sais quoi che fa funzionare un quadro. Rimasta incantata dal celebre Number 14 di Pollock (presente in esposizione) la pittrice prende spunto da quel “groviglio di smalti, intrecci, lavoro di spalla e non di polso” e lo rende oggetto della sua astrazione, il segreto del colore nato dal disegno spontaneo e ambiguo, così da diventare universale e di libera interpretazione.
Contrasti
Bellissimi i contrasti tra le sculture geometriche ed essenziali di David Smith e Anne Truitt – amici della Frankenthaler – in contrapposizione con le sue nuvole eteree di “Tutti-Frutti” o gli stendardi rettangolari di “The Human Edge”. Mentre negli anni Cinquanta è Pollock il riferimento della pittrice, negli anni Sessanta Rothko è il suo catalizzatore per dipingere un altro tipo di arte astratta, come si può notare in “Cape (Provincetown)”. Mirabili le opere marittime come “Alassio” (1960), dedicata alla celebre città ligure visitata con il marito Motherwell, che ritrae anch’egli la gioiosa atmosfera estiva in “Summertime in Italy”. Tuttavia è “Ocean Drive West #1” il protagonista dei panorami marini della pittrice, dipinto nei primi anni Settanta dopo il divorzio con Motherwell e ispirato alla vista sul Long Island Sound.
Dalle vibes molto vintage e multisensoriali che ricordano le atmosfere sonore della cantante Lana del Rey in “West Coast”, il quadro presenta un tono essenzialmente monocromatico, inondato da un blu ceruleo, tuttavia la sua superficie è innervata da sottili striature di bianco compensate da linee prismatiche e iridescenti. Varcare la soglia della mezza età è di difficile accettazione per la Frankenthaler, che muta ulteriormente stile prendendo spunto da Tiziano, Manet e Rembrandt, raggiungendo un nuovo modello tecnico composto da veli diafani, sfumature e trasparenze. Bellissima “Star Gazing”, dove una pioggia di punti neri e colorati sembra una soglia su altre galassie. Di stile totalmente opposto sono le opere degli anni Novanta come “Fantasy Garden”, estremamente materiche e dalla fisicità densa per via dell’uso del gel mescolato all’acrilico e lavorato con rastrelli e cazzuole.
Toni intimi e esistenzialistici
Il percorso si conclude con l’ultima sala dai toni più intimi ed esistenzialistici, dove la bellezza incarna la difficile dimensione umana. L’infernale e corposo “Borrowed Dream” ricorda atmosfere oniriche dantesche, ma è “Driving East”, datato 2002, a far riflettere sul senso della vita: il delicato sole dell’opera ci porta al crepuscolo o al sorgere di un nuovo giorno? “Con il tempo, ci rimane il meglio”: così l’artista riassume la sua ricerca di un’arte scevra da regole, che ricorda il caos a colori della vita, perché “i quadri non mentono, devono sostenersi come verità da soli”.
Fonte: Il Sole 24 Ore