A Parigi l’intramontabile estro della Pop Art

A Parigi l’intramontabile estro della Pop Art

La Fondation Louis Vuitton ripercorre il colorato dinamismo della Pop Art attraverso una mostra incentrata su Tom Wesselmann (1931-2004), figura di spicco del movimento. L’esposizione comprende ben 150 suoi lavori, compresi gli enormi Still Lifes, gli iconici Great American Nudes e i sensuali Bedroom Paintings a metà tra pittura e scultura, dotati di elementi multimediali come suono, luce, video e movimento. Inoltre, ospita 70 opere di più di 35 artisti di fama internazionale, che condividono la sensibilità Pop, spaziando dalle radici dadaiste anni Venti sino alle esuberanze contemporanee.

Difficile definire cosa sia davvero Pop Art – acronimo di “popular art” – se prima non si traccia una linea di confine tra arte e vita di tutti i giorni, una realtà senza manifesto né confine. Alla fine degli anni Cinquanta il movimento dilaga in Nord America e in Europa: i fumetti, la pubblicità, il cinema, le celebrità e la stampa scandalistica diventano soggetti di pittura, immagini fotografiche incollate o riprodotte meccanicamente su tela, celebrando inequivocabilmente il connubio tra cultura popolare, musei, gallerie e industria culturale.

Pop Forever

Pop Forever guida dunque il visitatore nei meandri di una mostra sia retrospettiva che tematica, regalando preziose “chicche” come Shot Sage Blue Marilyn (1964), celebre e discussa opera di Andy Warhol, dai colori abbacinanti e vividi sino alle esclusive opere di Roy Lichtenstein, il più significativo esponente del periodo. Thinking of Him (1963) esprime la fumettistica nostalgia di un amore perduto, mentre la sorridente rossa di Girl in Window – creata con la sua inconfondibile tecnica di colori primari applicati in dots (i famosi puntini, marchio dell’artista), fa capolino sulla tela dallo stile irriverente. Alcune opere sono sfrontate e ambigue, come Ice Cream (1964) di Evelyne Axell, dove una maliziosa ragazza gusta il suo gelato, mentre altre con ironia denunciano temi sociali grazie a un umorismo provocatorio, come in Beach Girl (1963) di Marjorie Strider, in cui una formosa pin-up in bikini ostenta le sue curve in evidenza in rilievo sulla tela, una critica alla società machista anni Sessanta e al concetto di bellezza stereotipata da “girlie” nord americana. Lo scintillante Balloon Dog (2000) di Koons – meta preferita dai visitatori più narcisi a caccia di selfie per via delle innumerevoli superfici riflettenti – non compromette i lavori maggiormente pregni di significato come le opere di Rosalyn Drexler, che in After Sex (1969) e Love and Violence denuncia con immagini pubblicitarie e cinematografiche la violenza domestica e gli stereotipi di razza o genere.

Tom Wesselmann invece stupisce con i suoi imponenti Still Lifes, dove superfici vibranti esplodono grazie a oggetti di vita quotidiana, come una mela gigante, nature morte in stile advertisement, un pacchetto di Lucky Strike o un collage dietro a una Volkswagen. Negli Interiors and Shelf Still Lifes include varie realtà nelle installazioni, come radio, tv o immagini di film, ma sono i numerosi Great American Nudes ad attirare l’attenzione con la presenza di oggetti fisici e dipinti. Le sue donne, che rimandano agli echi di Matisse per la forma astratta delle modelle e l’assenza di tratti facciali specifici (sagace in Great American Nude #44 il quadro di Renoir giustapposto alla posa nuda della modella). Sensuali i Bedroom Paintings, con frammenti di dettagli di donne che esaltano la femminilità, da audaci bocche socchiuse color carminio allo sfondo blue navy intenso in contrasto con il piede dalle unghie rosso acceso in primo piano nei suoi Foot Paintings.

L’importanza di comunicare messaggi “pesanti” in leggerezza e con un’universalità omnicomprensiva di chiara lettura è stata e sempre sarà la scintilla motivazionale della Pop Art perché, come sosteneva Calvino, “leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”.

Fonte: Il Sole 24 Ore