Accordo Ue-Mercosur: chi ci guadgana e chi ci perde
Venerdì scorso la Commissione europea ha siglato l’accordo di libero scambio con il Mercosur, il blocco commerciale che ha come membri a pieno titolo Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay. Dopo vent’anni di trattative e una prima fumata nera nel 2019, è finalmente giunta al traguardo un’intesa che, una volta ratificata, porterà all’eliminazione di oltre il 90% dei dazi sulle merci scambiate tra l’Europa e i Paesi sudamericani.
L’accordo vale il 25% del Pil mondiale e sulla carta interessa un mercato di oltre 700 milioni di consumatori. Ma non tutti i settori industriali sono destinati a guadagnarci allo stesso modo. Gli agricoltori europei, per esempio, si sono schierati compatti contro l’accordo anche in quei Paesi, come la Spagna, il cui governo si è fin da subito espresso a favore dell’intesa. Mentre infatti l’export europeo verso il Mercosur è incentrato su beni industriali di alto valore, come macchinari e prodotti chimico-farmaceutici, l’Europa importa principalmente materie prime agricole e alimentari. Secondo il centro studi Divulga l’anno scorso i prodotti alimentari e le materie prime agricole hanno rappresentato il 43% in valore e il 37% in volume delle importazioni totali dal Mercosur. Al contrario, il settore industriale europeo ha registrato un surplus di 33,4 miliardi di euro, sostenuto dalle esportazioni di prodotti chimico-farmaceutici e di macchinari e automotive. E la manifattura italiana? Si divide tra favorevoli e contrari.
Macchinari
Se in più di un settore il saldo commerciale con l’area per l’Italia è in rosso, nel caso dei macchinari non c’è partita. Tenendo conto di un attivo superiore ai due miliardi, quasi coincidente con le nostre vendite nell’area alla luce di importazioni quasi nulle, appena 178 milioni di euro lo scorso anno. I dazi sui macchinari oscillano a seconda delle categorie in un range dall’11 al 20% e una loro riduzione potrebbe evidentemente produrre commesse aggiuntive, migliorando il profilo competitivo delle nostre forniture rispetto in particolare ai competitor asiatici. «Per l’intero comparto è una buona notizia – spiega il presidente di Federmacchine Bruno Bettelli – perché in Brasile, in particolare, esportare è complicato. Oltre ai dazi sono richiesti infatti anticipi di imposte. Le regole sono complesse: una semplificazione sarebbe quanto mai benvenuta. Si tratta di Paesi che in termini tecnologici devono ancora crescere e in questo senso il made in Italy ha grandi spazi di sviluppo. L’auspicio è che l’accordo includa anche strumenti finanziari, in modo da agevolare il percorso delle aziende dal lato dei pagamenti e delle garanzie del credito». Mercato strategico, quello brasiliano, in particolare per i produttori di macchinari per ceramica, tenendo conto che proprio il Brasile è tra i maggiori produttori mondiali di piastrelle. E il Sud America, nelle statistiche dell’associazione di categoria Acimac, per la prima volta ha superato per vendite (302 milioni, +38%) il bacino asiatico. «In passato eravamo i primi in assoluto – spiega Bettelli – poi siamo stati superati dalla Cina per motivi di prezzo, non certo di qualità. Un calo dei dazi ci consentirebbe di recuperare competitività». Tra i macchinari made in Italy, l’area più pesante in valore assoluto è quella del packaging: 150 milioni nei primi otto mesi del 2024, di cui i due terzi diretti in Brasile, che per il settore rappresenta il decimo mercato di sbocco estero. «L’accordo è positivo – spiega il presidente di Ucima Riccardo Cavanna – ma il Mercosur ha problemi che vanno oltre i dazi: restano i nodi legati al cambio e al sistema dei pagamenti che pongono vincoli enormi alle imprese. Ora vedremo i codici doganali coinvolti e l’accordo definitivo, tenendo conto che la meccanica brasiliana proverà ad alzare gli scudi».
Tessile-moda
Se il 2024 è stato un anno critico per il lusso mondiale e per il settore moda made in Italy – che fattura circa 100 miliardi l’anno, insieme ai cosiddetti collegati: occhiali, gioielli, beauty – l’accordo tra Ue e Mercosur è una direttrice importante per aprire mercati ad alto potenziale, che però, ad oggi, sono stati frenati da burocrazia e dazi. Brasile e Argentina in testa: «Sono Paesi con un gusto e una sensibilità affini a quelli italiani – ha spiegato Filippo Laviani, responsabile Regolamentazione commercio internazionale di Sistema moda Italia – dove abbiamo provato a inserirci più volte, puntando a una classe media che si sta via via rafforzando. Le barriere doganali, con dazi che su alcuni prodotti sono al 35%, ci hanno però impedito di avere successo». Infatti nessuno tra i Paesi del Mercosur figura tra i primi 20 clienti del tessile-abbigliamento made in Italy che tra gennaio e agosto 2024 ha esportato merci per 25 miliardi di euro. Laviani valuta questo accordo «interessante soprattutto per il nostro export. Sul fronte dell’eventuale concorrenza da parte dei produttori locali che esporteranno in Europa non vedo grandi rischi». È simile il punto di vista di Confindustria Moda Accessori, che riunisce le imprese della filiera della pelle: nei primi otto mesi del 2024 ha esportato nel Mercosur beni per 48,9 milioni di euro, a fronte di un import pari a 121,5 milioni di euro (di cui 109,2 di beni della concia: il Brasile è il secondo fornitore): «Consideriamo l’accordo favorevolmente – dichiara la presidente Giovanna Ceolini – perché l’intesa può favorire l’export delle nostre imprese, spesso piccole, togliendo loro oneri burocratici e dazi. Non c’era reciprocità negli scambi: per le calzature, per esempio, c’erano dazi per l’export alti, intorno al 40%, e impostate su linee tariffarie diverse secondo il tipo di prodotto, e dazi per l’import bassi, intorno all’8%». Rimane qualche cautela: «Serve un allineamento su standard di produzione e sicurezza dei prodotti».
Agroalimentare
L’agricoltura italiana, così come quella del resto d’Europa, è contraria all’intesa. Coldiretti, Confagricoltura e la Cia si sono tutte espresse in termini negativi. In cima alla lista delle preoccupazioni c’è l’uso nei Paesi sudamericani che fanno parte del Mercosur degli antibiotici e degli ormoni della crescita negli allevamenti, così come l’utilizzo nei campi di pesticidi vietati dalla Ue. Gli imprenditori agricoli invocano il principio di reciprocità e richiedono ai produttori del Mercosur di rispettare gli stessi standard ambientali e sanitari previsti per gli agricoltori europei, ponendo l’accento sulle difficoltà che gli operatori Ue incontrerebbero per competere equamente con produttori esteri sottoposti a regole meno restrittive. Stando ai calcoli delle tre associazioni, i settori che subiranno il contraccolpo maggiore dalla liberalizzazione degli scambi con il Mercosur sono le carni bovine, il pollame, il riso, il mais e lo zucchero.
Fonte: Il Sole 24 Ore