Affitti, un terzo dei canoni è a importo calmierato
In Italia circa una famiglia su cinque vive in affitto. Da decenni non si avviano più grandi programmi di costruzione di case popolari, i redditi sono stagnanti e l’inflazione è tornata a mordere. Non c’è da stupirsi, allora, che i nuclei familiari degli inquilini siano tra i più fragili.
In questo scenario, la cedolare secca sembra aver dato una spinta alla diffusione dei contratti del canale concordato, in cui il locatore accetta un canone inferiore a quello di mercato in cambio di uno sconto da parte del Fisco. Nel primo anno di piena applicazione, il 2012, i contratti concordati pesavano per il 13% dell’imponibile complessivo della tassa piatta. Percentuale poi salita al 35% nelle dichiarazioni presentate l’anno scorso. Di fatto, grazie all’aliquota della cedolare ridotta al 10% – accompagnata dallo sconto Imu del 25% – nel 2022 gli inquilini hanno versato 6,8 miliardi di canoni calmierati.
È interessante vedere cosa è successo negli ultimi anni segnati dal Covid e dall’inflazione. Nel 2020, per la prima e finora unica volta, l’imponibile dichiarato per i contratti a canone libero e gli affitti brevi è rimasto invariato rispetto all’anno precedente. L’importo medio è addirittura sceso dell’1,1% (calo dovuto probabilmente allo stop delle locazioni turistiche e alle rinegoziazioni al ribasso concesse da diversi locatori). Nello stesso anno, però, l’imponibile dei contratti a canone concordato è aumentato del 5,5%, segno che un buon numero di proprietari si è “spostato” sulle formule più agevolate dal Fisco, magari sfruttando una risoluzione anticipata o l’occasione di un contratto in scadenza. Il maggior utilizzo di questa soluzione contrattuale si vede anche nel fatto che l’anno scorso oltre 200mila locatori hanno dichiarato sia canoni tassati con la cedolare al 21% sia canoni tassati al 10% (le opzioni sono poco più di 3 milioni, i contribuenti 2,8 milioni).
Nel 2022, con un’inflazione media annua all’8,1%, il canone concordato dichiarato mediamente dai locatori è cresciuto del 3,7%; quello libero del 6,3 per cento. Naturalmente queste variazioni non dipendono dall’aggiornamento degli importi mensili, che è vietato finché il locatore applica la tassa piatta. Si tratta piuttosto di un aumento delle locazioni brevi, di nuovi contratti stipulati per cifre più elevate di quelli vecchi e probabilmente del rinnovo a valori più alti di alcune intese locali per gli affitti calmierati. È comunque evidente una dinamica più tiepida nella crescita dei canoni agevolati.
D’altra parte, non è tutto oro ciò che luccica. Il canone concordato, per essere appetibile per i proprietari, non può essere troppo inferiore a quello di mercato. E, comunque, per le famiglie veramente in difficoltà anche un affitto calmierato può rivelarsi un onere troppo pesante.
Fonte: Il Sole 24 Ore