Aftermarket, comparto da 28 miliardi che resiste alla transizione elettrica

La transizione verso l’elettrico, che sta creando pesanti ripercussioni sull’intera industria automotive italiana ed europea, sembra non sfiorare, per ora, il settore dell’Aftermarket e dei ricambi. Un comparto che vale 28,1 miliardi di euro, fattura il 46,4% all’estero, occupa quasi 400mila persone e rappresenta una filiera con quasi 29mila imprese, prevalentemente a conduzione familiare, attive nella produzione e nella vendita di ricambi per auto.

Soltanto il 5% delle imprese ha intrapreso la strada della riconversione all’elettrico mentre soltanto una impresa su 4 ha avviato investimenti legati alla mobilità elettrica. Lo rivela la ricerca “Il settore dell’Aftermarket dell’automotive…tra tradizione e innovazione”, presentata a Torino, è stata realizzata dal Centro Studi Tagliacarne, per conto della Camera di commercio di Modena, in collaborazione con la Camera di commercio di Torino e con il supporto di Anfia.

La Lombardia è la regione con la maggiore concentrazione di fatturato, circa 8 miliardi e poco meno di un terzo delle imprese, seguita da seguita al secondo posto da Emilia-Romagna e Veneto (entrambe con 3,7 miliardi) e, al terzo, dal Piemonte (3,6 miliardi).

Dallo studio emerge che il 41% delle imprese del settore prevede una crescita del proprio fatturato mentre un’impresa su tre stima un aumento della forza lavoro. In vista del potenziale stop, al 2035, dei motori endotermici, resistono competenze e business model consolidati. Anche alla luce del fatto che un parco auto circolante a motore termico continuerà ad operare anche dopo la scadenza fissata dall’Europa.

A destare qualche preoccupazioni, però, è soprattutto la concorrenza proveniente dai paesi emergenti e dalla Cina, vista come il principale ostacolo alla crescita da parte del 37,7% delle imprese. Più dei tre quarti delle imprese del settore (il 77,4%) non ha intrapreso alcuna iniziativa di adeguamento all’elettrico, e soltanto il 5,4% si sta riconvertendo al mercato elettrico, mentre il restante 17,2% si sta spostando verso altri mercati: il 3,9% lo sta facendo cambiando la propria tipologia di prodotto e il 13,3% mantenendo lo stesso prodotto di partenza.

Fonte: Il Sole 24 Ore