Ai Parcours des Mondes lavori per tutte le tasche

Da 5 al 10 settembre le strade del Quartiere Latino di Parigi hanno ospitato la XXII edizione dei Parcours des Mondes, che hanno avuto come presidente d’onore Stéphane Martin, già direttore del Musée du Quai Branly Jacques Chirac. Quella di quest’ anno è stata la prima edizione dopo la scomparsa di Pierre Moos, il collezionista e uomo d’affari, che qui ricordiamo con affetto, perché nel 2008 aveva preso in mano i Parcours e li aveva trasformati nella fiera non fiera di arte etnica più importante al mondo.
Il successore di Moos, Yves-Bernard Debie, un avvocato belga, specializzato nel commercio delle opere d’arte e appassionato collezionista, commentando i risultati di quest’anno ha detto in esclusiva al Sole 24 Ore: «Per i Parcours des Mondes 2023 la scommessa è vinta! È difficile sognare di meglio. I galleristi che hanno partecipato hanno sfoggiato il sorriso di chi ha “lavorato” e venduto».
Confermando le parole di Debie, Alex Arthur, direttore artistico dei Parcours, collocando la manifestazione parigina nell’attuale contesto internazionale della repatriation, ci ha detto: «I Parcours des Mondes sono una manifestazione che difende la cultura artistica della nostra umanità. Sicuro, quello che è rubato è rubato e va corretto. Ma non si può dimenticare che la geopolitica cambia il mondo da millenni, il commercio tra popoli, le guerre e le colonizzazioni non dovrebbero influenzare la circolazione attuale d’arte. Se no, in teoria, tutto dovrebbe tornare al suo posto d’origine. Ed è evidente che questa è una cosa impossibile».

La partecipazione in fiera e in mostra

Nel complesso ai Parcours 2023 hanno partecipato 58 gallerie, in gran parte francesi. L’unica presenza italiana è stata quella di Dalton Somaré di Milano. La parte del leone è stata fatta dall’arte africana, anche se si è confermata una significativa presenza di galleristi che vendevano reperti asiatici (11) e oceanici (8). Accanto a loro, come negli ultimi anni, era presente anche un piccolissimo gruppo di mercanti, che presentavano opere di arte contemporanea etnica e reperti dell’antico Egitto.

Come sempre, i Parcours sono stati affiancati da mostre monotematiche. Quest’anno ne sono state organizzate due: «Unû» e «Passion partagée». La prima ha presentato la collezione di armi africane di Jacques Billen, mentre la seconda, curata dalla galleria Didier Claes, ha consentito di ammirare le opere africane raccolte in 17 anni da Anne e Michel Vandenkerckhove.

Le vendite

Venendo ai risultati di questa edizione, si può dire che tutti i galleristi contattati hanno dichiarato di essere stati molto soddisfatti, dato che hanno visto la presenza di collezionisti provenienti dagli Stati Uniti, dall’Australia e dagli altri paesi europei. Qualcuno ha anche aggiunto che alcune delle loro opere più importante sono state vendute subito dopo l’inaugurazione e che questa è stata la migliore edizione dopo la pandemia. Poiché in occasione di queste manifestazioni, a differenza di quanto avviene nelle aste, c’è una grande riservatezza sui prezzi e sulle vendite, è evidente che è praticamente impossibile avere un quadro completo e dettagliato su tutto quanto è successo nei Parcours e sull’andamento del mercato. Tuttavia, grazie alle informazioni raccolte dai galleristi più disponibili, che qui ringrazio pubblicamente, è possibile segnalare che in questa edizione dei Parcours sono state presentate opere di grande interesse.
Le più importanti sono un reperto del Canada della Galleria Flak del valore di circa un milione di euro e una statua della Papua Nuova Guinea offerta dalla Galleria Schoffel a 950.000 euro. A proposito del primo si può aggiungere che era accompagnato da una maschera Punu messa in vendita a 200.000 euro. A proposito della seconda, è doveroso ricordare che una tipologia molto simile della stessa area geografica nel 2013 era stata venduta da Christie’s a 2.505.500 euro a partire da una stima di 750.000 – 1.000.000 euro.

Per tutti i portafogli

Questi dati, tuttavia, non devono far pensare che nei Parcours siano state presentate solo opere per milionari e sceicchi. Anzi ! Basti pensare che le stesse gallerie Flak e Schoffel offrivano reperti Inuit e Lobi a partire da 500 euro, che la galleria Shak ha presentato uno sgabello Chokwe a 8.500 euro, mentre la galleria Granier ha venduto uno scudo Kikuyu a un prezzo compreso tra 5.000 e 10.000 euro e le vendite della galleria Arts d’Australie si sono collocate tra i 6.000 euro per il pezzo più costoso e i 350 euro per quello meno caro. Pertanto, considerando la fascia delle opere più a buon mercato, si deve osservare che anche coloro che non hanno grandi capitali ma amano l’arte etnica e hanno un buon occhio potevano fare acquisti molto interessanti.

Fonte: Il Sole 24 Ore