Al di là della Cina. Il potenziale della Corea

Da tempo si parla di riscrivere la storia dell’arte al femminile e ora anche l’Asia riscopre le sue artiste. In questi giorni a Seoul, nel pieno della Frieze Week, ha inaugurato al museo MMCA la mostra «Connecting Bodies. Asian Women Artists», che indaga l’esperienza del corpo nell’arte di 130 donne da 11 paesi asiatici dagli anni ’60 a oggi, mentre è in uscita presso Phaidon il libro «Korean Feminist Artists: Confront and Deconstruct» sulle femministe coreane, a cura della ex-direttrice del SeMA di Seoul, Hong-hee Kim. Include sia giovani artiste che stanno crescendo a livello internazionale come Mire Lee, che vedremo alla Turbine Hall della Tate Modern a ottobre, e Ayoung Kim, che l’anno scorso ha vinto il Golden Nica del Prix Ars Electronica, il più importante premio per la media art, e quest’anno l’ACC Future Prize del National Asian Cultural Center in Corea, sia artiste che hanno aperto la strada all’arte femminista coreana, come Na Hye-Sok (1896–1948) e Chun Kyung-Ja (1924–2015), della quale è in corso una retrospettiva al SeMA.

L’arte femminista

La riscoperta nasce dalla necessità di dare visibilità a tante artiste che, tra le generazioni del dopoguerra, hanno rinunciato alla carriera per la famiglia. La loro condizione è ben rappresentata dalla pittrice Jinju Lee (1980), che riprende le tecniche antiche coreane per quanto riguarda la dovizia di dettagli e l’uso dei pigmenti e dei pennelli, ma mostra un’iconografia ben lontana dalla tradizione, in cui è l’uomo a dipingere figure maschili, ieratiche, che fissano lo spettatore. Le donne dei suoi dipinti si coprono il volto, sofferenti, spesso in gravidanza. Negli ultimi cinque anni la sua fama è cresciuta in Corea e ora anche all’estero: a ottobre sarà allo Yuz Museum a Shanghai e gallerie internazionali importanti come Esther Schipper e White Cube l’hanno già inclusa in collettive. Da Arario Gallery di Seoul i prezzi sono ancora sotto i 20.000 $.

La stessa galleria rappresenta un’altra coreana in via di rivalutazione: Park Youngsook (1941), pioniera del femminismo e della fotografia, un mezzo espressivo che in Corea non ha una lunga storia, come il Giappone, per cui lei è rimasta inosservata. Le donne dei suoi scatti si oppongono agli standard di bellezza asiatici e mostrano corpi segnati dal tempo, mentre i volti – di nuovo – sono coperti da grandi ferri da stiro. A ottobre la vedremo a Frieze a Londra (prezzi sotto i 15.000 $).

Il mercato coreano

Ma i coreani sono pronti a recepire le novità dell’arte. La tradizione del collezionismo qui è radicata sin dalla metà degli anni ’80 e ora c’è una nuova generazione molto attenta. Frieze Seoul, la cui terza edizione si svolge dal 4 al 7 settembre, ha dato slancio internazionale e, nonostante il rallentamento della Cina e l’instabilità politico-economica globale, le guerre sono percepite come lontane. Anche il report «Korea Art Market 2023» prevedeva per il 2024 transazioni relativamente più conservative con prezzi più razionali, ma i ricchi non smetteranno di comprare. Anzi, è vista come un’opportunità.

«Le opere di qualità continuano a vendersi bene» ha affermato Patrick Lee, direttore di Frieze Seoul. «È vero che non si sente l’urgenza di comprare, ma è una tendenza globale. Da decenni i coreani sono tra i più importanti acquirenti d’arte per tutta l’Asia, ma fino a qualche anno fa si rifornivano dalle gallerie locali, che importavano l’arte internazionale, per questo sono passati inosservati in Occidente. Con i viaggi e il ricambio generazionale c’è stata l’apertura. C’è grande potenziale e come fiera abbiamo lavorato molto con il governo e le istituzioni locali per rinforzare il network e le infrastrutture».

Fonte: Il Sole 24 Ore