Al via Cersaie tra eccellenze del Made in Italy e i rischi caro-energia e ambiente

Nella giornata di apertura della 41esima edizione di Cersaie, il salone internazionale della ceramica, che punta a richiamare da qui al 27 settembre 100mila visitatori da tutto il mondo nei 15 padiglioni di BolognaFiere sold out da mesi (606 espositori, di cui 38% stranieri) non sono solo le ultime novità in fatto di piastrelle, lastre e arredobagno a tenere banco, ma due temi chiave per la competitività del settore: energia e dazi.

Sono i due temi al centro del convegno inaugurale “Transizione energetica e competitività internazionale per la ceramica italiana”, in cui il presidente di Confindustria Emanuele Orsini ha ribadito che «l’industria italiana è consapevole di quanto sia importante l’ambiente, tanto che sul riciclo eravamo campioni in Europa già nel 2021. Nel mondo ceramico sono stati fatti due miliardi di euro di investimenti negli ultimi anni all’insegna della sostenibilità, arrivando a recuperare il 100% degli scarti, a riutilizzare il 99% delle acque e a generare il 47% dei consumi elettrici con la cogenerazione. I compiti a casa li abbiamo fatti, ma diventano investimenti vani se l’asticella dell’Ue della transizione verde si alza ancora». Perché l’Europa, che pesa il 15% del Pil mondiale e meno dell’8% delle emissioni totali, rischia di perdere quote di competitività e produttività se si caricano sulle aziende altri oneri della transizione verde e intanto – rimarca Orsini – le vendite di ceramica indiana (che non rispetta alcun requisito minimo ambientale e sociale) in Europa sono aumentate del 67% lo scorso anno, in un mercato che perdeva il 20%.

Ed è il padrone di casa, il neopresidente di Confindustria Ceramica, Augusto Ciarrocchi, a spiegare che all’industria ceramica servono «due cose molto operative: la revisione dell’ETS, un sistema impraticabile con delle storture che vanno sanate perché è diventato solo un ulteriore balzello su un costo dell’energia già altissimo, non un meccanismo per la riduzione delle emissioni di CO2; e una regolamentazione per il “Made in”, che sia a livello Italia o Europa, perché dobbiamo far sapere ai nostri consumatori da dove arriva un prodotto». Questioni vitali per un settore energivoro “hard-to-abate” come quello della ceramica, che vive esportando nel mondo oltre l’80% dei volumi di piastrelle prodotte. E qui si inserisce anche la battaglia dei dazi contro la concorrenza sleale indiana, che Confindustria Ceramica sta portando avanti in sede europea, per innalzare le aliquote ben oltre l’attuale 7%, totalmente inefficace, e seguire le orme statunitensi, dove si stanno discutendo dazi antidumping tra il 328 e il 489% contro la ceramica indiana.

Sull’energia, tema chiave di competitività per un Made in Italy ceramico che dà lavoro a oltre 26mila addetti e contribuisce con 7,6 miliardi di euro l’anno alla ricchezza del Paese e per 5,4 miliardi al suo export interviene anche il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, subito dopo il taglio del nastro di Cersaie 2024. «C’è ancora un rischio di rincari sull’energia – avverte dal palco dell’Europauditorium -. Noi dalla Russia preleviamo pochissimo, un 5% facilmente sostituibile, anche grazie al fatto che da gennaio 2025 il rigassificatore al largo di Ravenna entrerà in funzione, ma la chiusura del gasdotto che arriva dall’Ucraina a novembre rischia di fare aumentare i prezzi internazionali. E la richiesta di energia raddoppierà nei prossimi 25 anni, da 300 a 650 TW, dobbiamo iniziare a fare ricerca e sperimentazione sul nucleare».

Energia nucleare su cui Confindustria si sta battendo da tempo per accelerarne lo sviluppo: «In Italia paghiamo l’energia elettrica il 40% in più rispetto al resto d’Europa o quando dobbiamo comprarla, la prendiamo dalle centrali nucleari francesi», ricorda Orsini rinnovando la richiesta a Bruxelles di rivedere i tempi della transizione e di salvaguardare il principio di neutralità tecnologica.

Fonte: Il Sole 24 Ore