Al via decreto che istituisce l’albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale
Con il Decreto ministeriale n. 460 del 18/12/2024 che attua l’art. 26 della legge per il Made in Italy, si aggiunge un altro pezzo al complesso puzzle normativo delle Imprese Culturali e Creative. Il Decreto prevede l’istituzione presso la Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura l’albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale. L’iscrizione permette alle ICC di utilizzare la denominazione di “Interesse nazionale” e, altresì, comporta per quei soggetti che abbiano un archivio di impresa riconosciuto di interesse storico particolarmente importante la registrazione al Sistema archivistico nazionale del MiC. Possono iscriversi al registro chi ha ottenuto la qualifica di ICC ai sensi dell’art. 25 della legge per Made in Italy, – attuato con il Decreto interministeriale n.402 – e svolgono, da almeno 5 anni, attività che contribuiscono, in ambito nazionale e oltre il confine alla definizione dell’identità nazionale e alla crescita civile, culturale ed economica del Paese; o attività capaci di collegare la propria organizzazione con il territorio in cui è localizzata e valorizzarlo. Per l’iscrizione è necessario anche possedere un archivio di impresa funzionale all’attività svolta. Sono ammesse automaticamente all’albo i titolari o le imprese licenziatarie esclusive di un marchio storico di interesse nazionale come definito dalla normativa in materia di proprietà industriale. Le ICC possono iscriversi e rinnovare l’iscrizione ogni cinque anni all’albo che sarà pubblicato sul sito della DG Creatività Contemporanea, che si occuperà anche del suo aggiornamento. L’albo di interesse nazionale non deve essere confuso con la sezione speciale del Registro delle imprese istituita presso le CCIAA, a cui si iscrivono quelle imprese che hanno la qualifica di Impresa Culturale e Creativa. Quest’ultima si ottiene in base ai requisiti previsti dal richiamato Decreto interministeriale n. 402 (attuativo dell’art. 25, legge Made in Italy).
Parola agli esperti
“Questi provvedimenti rappresentano un passo significativo per il settore culturale e creativo italiano, – spiega Angelo Piero Cappello, Direttore generale Creatività Contemporanea – poiché consentono di valorizzare, con azioni concrete, un ecosistema in cui innovazione, cultura, creatività e capacità imprenditoriali possano convergere e svilupparsi”. Continua Cappello secondo cui “la creazione di una sezione speciale del registro delle imprese tenuto dalle CCIAA, espressamente dedicata alle imprese culturali e creative, rappresenta un’importante novità varata grazie alla collaborazione con il MiMIT e Unioncamere. Inoltre, l’istituzione di un albo di interesse nazionale – con un importante richiamo ai marchi storici e agli archivi storici delle imprese aggiungerà un ulteriore elemento al processo di valorizzazione, rafforzamento e sostegno di questa filiera strategica per l’identità culturale del nostro Paese”.
Quindi secondo il MiC il doppio albo non dovrebbe portare a una duplicazione di adempimenti, ma contribuire a dare più forza alla catena del valore del comparto. Di collaborazione tra istituzioni parla Marco D’Isanto, esperto di economia della cultura: “Le Imprese che esercitano in Italia le attività culturali e creative potranno godere di una qualifica giuridica necessaria per identificare e perimetrare uno dei più rilevanti settori dell’economia nazionale. Questo consentirà allo Stato e alle Regioni di adottare politiche per il sostegno e la crescita delle imprese culturali e creative e varare un piano strategico di sviluppo dell’intero settore”.
Difatti, i prossimi bandi di finanziamento dovranno tener conto necessariamente di quanto prevede la normativa sulla qualifica di ICC che tenteranno ad escludere chi non è in possesso dei requisiti. Per Giovanna Barni, presidente CulTurMedia Legacoop Nazionale, la tanto attesa riforma delle ICC ha deluso le attese. Difatti nel Decreto attuativo dell’art. 25 “Da una parte si raccomanda la prevalenza, ai fini del riconoscimento, di attività legate a beni, servizi e prodotti culturali e, quindi si includono tutte le attività del ciclo che va dalla progettazione alla produzione e gestione (con un importante riflesso per tutti i lavoratori della cultura) purché necessariamente legate ad un output strettamente culturale. Dall’altra – continua Barni- si fanno coincidere le attività riconosciute con i codici Ateco che, soprattutto nella sezione moda, ma non solo, prevedono ambiti che non hanno nulla di culturale, come la biancheria intima o i negozi di pelliccia. È evidente che andrebbe in questo caso cercata una soluzione per includere di ogni campo solo le fasi di design e progettazione creativa, ed escludere la parte industriale”. Alcune associazioni di categoria, quindi, sono scontente della legge, e sono pronte ad offrire un contributo per superare le contraddizioni evidenziate. Rispetto agli Ateco fonti interne del MiC, tengono a sottolineare che la novità del Decreto attuativo dell’art 25 risiede nel superamento dei codici stessi, nel senso che le organizzazioni possono iscriversi in base all’attività culturale e creativa realmente esercitata prevista dall’allegato. Il dibattito è ancora aperto ed è destinato ad alimentarsi finché la riforma non avrà avuto gli effetti positivi sperati.
Fonte: Il Sole 24 Ore