Alba de Céspedes, la vita in vedetta
«Anche oggi volevo parlargli, e lui: Sì, cara, un momento, ho scordato la chiave della bicicletta. Allora ho avuto vergogna di dirgli, vorrei fare qualcosa per l’Italia. Perché ci guarderemmo e forse lui, sopra pensiero, mi direbbe: che cosa?». Le pagine di diario di Alba de Cèspedes dell’agosto 1943 testimoniano il fragile ma inarrestabile emergere del pensiero dalla nebbia della propaganda, dalla prigionia della condizione femminile, il radunarsi del coraggio. La scrittrice afferma di sentire la necessità di scrollarsi «dalle spalle la convinzione, che il fascismo ci ha dato, che far qualche cosa per il proprio Paese vorrebbe dire assumere un atteggiamento pletorico e baritonale». Forse, scrive, «basterebbe essere un’italiana. Un’italiana come vorrei che gli italiani fossero. Esserlo io per la prima».
Ha 32 anni, un figlio da un marito sposato a 15 anni che ha già lasciato. Ha una vita agiata, un nuovo amore, il diplomatico Franco Bounous, una tradizione familiare di indipendenza: suo nonno, nel 1868, aveva condotto la lotta di liberazione di Cuba dai dominatori spagnoli. È già un’autrice di successo. Cosa può fare lei, un’«implacabile fautrice della pace, del diritto di vivere, più forte di ogni altro umano diritto»? Un mese e mezzo dopo ha lasciato Roma, fugge con il nuovo compagno: «Bisogna andare, come Kyra», gli aveva detto, riferendosi alla protagonista di We the Living di Ayn Rand, che è riuscita a non piegarsi al potere sovietico.
Passerà l’autunno nei paesi e poi nei boschi d’Abruzzo, aspettando l’occasione giusta per attraversare il fronte e raggiungere l’Italia liberata. Pagine di diario in presa diretta, spicce, ma non per questo meno belle, danno conto di quest’avventura: «A Torricella ieri mattina, d’improvviso sono arrivati i tedeschi, hanno bloccato le strade hanno preso tutti gli uomini, li hanno caricati sui camions e via. Torneranno mai più? Donato, il proprietario dello spaccio, ha tentato di fuggire, ma un colpo di moschetto lo ha tagliato alla vita, è caduto ucciso sul colpo. Peppino raccontava dello strazio delle donne che urlavano mentre il camion partiva. Intanto suonava a morte la campana del povero Donato. E attorno io immagino la vallata silenziosa e calma, le mucche arando, i cani latrando al primo passante, quasi per gioco».
Affamati, sudici, indeboliti dalle continue fughe che seguono l’avvistamento dei tedeschi, con altri fuggitivi i due dividono il tempo coi contadini, che li nutrono e li nascondono. «La vera vita è questa» annota, e la sua casa le pare odiosa, ricca e pretenziosa. «Sono umiliata di aspettare gli inglesi(…) Si vive in vedetta». Il freddo diventa intenso. «Non abbiamo più candele, più fiammiferi. Anche il bosco si spoglia, sembra non volerci più aiutare». Le rappresaglie dei tedeschi sono terribili, interi villaggi rasi al suolo, e i nascondigli scarseggiano, li scavano ormai nel terreno. Dopo 37 giorni, costi quel che costi, decidono di traversare la linea del fuoco. Guadano il Sangro in una zona non minata, e raggiungono Bari. Sotto lo pseudonimo di Clorinda, la guerriera della Gerusalemme Liberata, dal novembre 1943 fino al giugno 1944, de Céspedes dirige le trasmissioni di L’Italia combatte! di Radio Bari. Conserva le veline dei discorsi, ora pubblicate, insieme a pagine di diario scelte e altri documenti, la più parte inediti, nel prezioso volume È una donna che vi parla stasera, a cura di Valeria Paola Babini, che firma un’introduzione ricca, documentata, meticolosa, pregnante.
Se le pagine di diario hanno la bellezza dell’attimo rubato al crepuscolo, con nuclei di senso sparsi come sassolini per ritrovare il cammino, i discorsi risuonano della fiducia di chi si è resa conto di aver compiuto un’impresa fuori dal comune grazie al coraggio di molti, e della responsabilità che questo implica. La scrittrice trova una voce epica, maestosa, magnifica. Dal journal intime, «una messa a punto con me stessa», passa al «noi». Deve parlare a chi è ancora intrappolato nell’Italia fascista, dare coraggio alle donne i cui compagni sono alla macchia, motivare le persone a sabotare i tedeschi, incoraggiare chi non vede la fine, ringraziare chi rischia la vita per gli altri (memorabili le pagine dedicate alla gente d’Abruzzo). Non importa che non sappia neppure se ci sia una sola persona all’ascolto: il suo tono è altissimo, la potenza espressiva travolgente. «È una donna che vi parla, stasera» esordisce. «Stasera io voglio parlare da donna alle innumerevoli donne italiane che aspettano il ritorno dei loro uomini che sono quaggiù e che sono rimaste chiuse nel buio della separazione, senza notizie, senza promesse, senza date che pongano fine alla loro attesa. Tutti parlano agli uomini perché combattono e rischiano, ma alle donne che aspettano non è stato parlato finora. Ci vuol molto coraggio ad aspettare: processioni di giornate solitarie nella casa fredda dove non più la cara voce risuona, ogni giornata uguale all’altra, una di meno, ma che importa? Talvolta si pensa che sarà sempre così (…).In questi momenti, lo so, voi pensate che ha fatto male a partire. (…) E invece non è vero; io vi dirò qual è stata la sorte di molti uomini che sono rimasti. Nei paesi d’Abruzzo i tedeschi arrivavano di notte, alcuni scendevano dal camion con le pistole alla mano, altri restavano dietro le mitragliatrici puntate su chi tentasse di sottrarsi. Picchiavano alle porte col calcio del fucile, se nessuno apriva sfondavano il battente ed entravano in casa. Guardatevi attorno, mie care ascoltatrici. Erano case come le vostre: i mobili scelti con amore, le fotografie, i ricordi, l’intimità di due persone che si amano, insomma. E loro entravano di forza, violando tutto ciò, oltraggiandolo con la loro presenza. Così apparivano nella camera da letto ove già, talvolta, un bambino aveva incominciato a piangere, spaventato. «Komm» dicevano, niente altro. L’uomo doveva vestirsi in un attimo, la moglie chiedeva, supplicava: dove? dove? fino a quando? Non c’era risposta. Lei vedeva scomparire tra i soldati sconosciuti il dolce compagno della sua vita. Mille ricordi risorgevano, mille cose da dire. Ma la porta s’era già chiusa».
Fonte: Il Sole 24 Ore