Amelio Castro Grueso: in fuga dalla Colombia vi spiego come scherma e Italia mi hanno accolto

«Annamo, Profe, è ora di allenarsi», così Amelio Castro Grueso ci mette fretta mentre chiacchieriamo al Villaggio olimpico. Chiude l’intervista con un sorriso travolgente, com’è lui, e cerca la complicità del suo maestro di scherma, Daniele Pantoni, un po’ professore, ma soprattutto tanto profeta. Perché la storia di Amelio ha qualcosa di profetico, è un romanzo di amore e tenebra: Amelio è uno degli otto atleti del Team paralimpico dei rifugiati ed è a Parigi a giocarsi il destino con la scherma.

Nel 2018, Pantoni-Profe è a Cali, in Colombia, per una tappa della Coppa del Mondo con la Nazionale femminile di spada – sì, quella di Fiamingo, Santuccio, Navarria e Rizzi che ai Giochi ha vinto l’oro – e mentre si allenano c’è un ragazzo in carrozzina pieno di domande che alla fine strappa qualche lezione con l’Italia e un numero di cellulare. Quel ragazzo è Amelio, aveva 26 anni. Aveva già perso la mamma, colonna della famiglia, e l’uso delle gambe; aveva anche ricevuto minacce in quel Paese a così alta densità di violenza e morte. Ma aveva trovato un’idea di futuro, la scherma in carrozzina. Scrive a Pantoni, si tengono in contatto. Poi, nel 2022, Amelio lo chiama, aveva fatto scalo a Madrid sulla sua carrozzina, destinazione Roma. Aveva deciso e fatto tutto da solo. Pantoni era in Australia in quel momento ma Amelio, che ha visto la disperazione mica si scoraggia. Lo accolgono alla Caritas di Roma: «Non potevo più rimanere a Cali. Quei pochi allenamenti con l’Italia sono stati amore a prima vista. Scappare è stato un mix di coraggio, incoscienza e fede che sempre mi guida. Quando ero in ospedale, abbandonato dalla mia famiglia dopo l’incidente che mi ha reso paraplegico, continuavo a chiedermi perché tutto quel male stesse capitando a me. E non credevo più. Tutto era buio. Poi tutto è cambiato. Ho intravvisto piccoli gesti, piccoli aiuti, sono arrivato in Italia e ho trovato casa, persone che mi seguono, colleghi di palestra: Dio si è manifestato a me con le persone, nelle piccole cortesie. L’amore è l’unica forza che sa trasformare il mondo in profondità e nessuno può esistere se non vicino a un’altra persona».

Amelio inizia ad allenarsi sotto la guida di Pantoni, a Roma, nel centro delle Fiamme Oro di Tor di Quinto con gli altri atleti azzurri olimpici e paralimpici, le campionesse olimpiche Rossella Fiamingo o Alberta Santuccio tirano di spada con lui da sedute. Il suo livello cresce, ha voglia di Giochi. Dopo la richiesta di protezione internazionale gli viene concesso lo status di rifugiato ed eccolo a Parigi con il Team paralimpico dei rifugiati a rappresentare i 120 milioni di persone in fuga, di cui 18 milioni di disabili che, come ricorda sempre l’Alto Commissario UNHCR, Filippo Grandi, «hanno subìto una perdita doppia, fisica e umana, avendo dovuto abbandonare il loro Paese». «Io non ho nostalgia della Colombia – confessa –. Ormai Roma e l’Italia sono la mia nuova patria. La scherma è il mio lavoro che mi piace molto perché è uno sport di tattica, di riflessioni veloci, mossa e contromossa, trovare il modo per anticipare l’avversario e fare punto». Ed è così il suo lavoro che si allena con costanza e passione, peccato solo che per arrivare da Centocelle al centro di Tor di Quinto è come se dovesse fare un altro lavoro ancora: due ore all’andata e due al ritorno, con l’aggravante della stazione della metropolitana di San Giovanni senza ascensore (sindaco Gualtieri, quando rimediamo?) che lo obbliga a risalire in superficie aggrappandosi alla scala mobile. Ma lui, che ha visto morte e tragedie, passa oltre e valorizza ciò che più gli piace: «La carbonara è un’esplosione di sapori» e gli intercalari in romanesco sono un fatto, tanto che Pantoni lo invita a un italiano più corretto e Amelio ricorda come, nell’ultimo anno, abbia frequentato sempre il corso base per stranieri perché i corsi avanzati erano al primo e secondo piano di un edificio senza ascensore.

Qui al Villaggio gli allenamenti sono serrati, mattino e pomeriggio. La prima gara si avvicina, sarà il 6 settembre e Amelio si troverà subito di fronte spadisti molto alti nel ranking, che lui non ha perché ha ancora poche esperienze internazionali significative: «Dio mi è accanto, mi guida e la determinazione di ottenere risultato è tanta. So di essermi allenato e voglio essere un esempio, voglio dire ai 120 milioni di rifugiati nel mondo senza cibo e senza casa che c’è domani, c’è spazio per la speranza».

Alza gli occhi e passa in rassegna silenziosamente le palazzine del Villaggio, dove sono appese le bandiere del mondo, quasi a ricordarci che, sì, è possibile la convivenza. A partire dallo sport che scardina ranking, ordini precostituiti e paure.

Fonte: Il Sole 24 Ore