Anatomia di una tempesta in cerca di un padre
«Come un autobus senza freni giù dalla collina, 84 nodi di vento per 24 ore», Giovanni Soldini parla della notte del 3 aprile 1998 sulla barca da regata Fila, al largo delle coste francesi, mentre corre per ottenere il record sulla traversata atlantica New York-Cape Lizard. È il capitano del team composto da Guido Broggi, Bruno Laurent, Andrea Romanelli e Andrea Tarlarini che hanno lavorato anche manualmente alla realizzazione di un modello avanguardistico, velocissimo, ma anche stabile e sicuro. Il primo con chiglia basculante, l’albero alare, il boccaporto di poppa, dispositivo ad hoc di sicurezza per un possibile ribaltamento. Per ironia della sorte, chi lo aveva inventato, l’ingegnere aeronautico Romanelli, non ha potuto usufruirne quando la barca si è rovesciata durante la depressione atmosferica del 3 aprile.
No more trouble. Cosa rimane di una tempesta di Tommaso Romanelli raggruppa tre film in uno. È una pellicola intimista attraverso la ricerca di un figlio su un padre, la cui memoria è confezionata sui racconti e sulle fotografie (aveva quattro anni all’epoca dell’incidente). È un film sportivo, il cui tema, come sempre in questo genere, non è la competizione atletica, ma la lotta dell’uomo con il suo limite e con la Natura. Infine, è un giallo su una presunta omissione di soccorso. Tommaso Romanelli si mette nello stesso calco del padre: sfida il suo limite – il lutto, la mancanza paterna – attraverso il cinema, ovvero la sua identità professionale, come il padre aveva sfidato il mare aperto. Si butta coraggiosamente a cercarlo attraverso il suo mezzo di comunicazione elettivo. Lo fa per sé ma anche per una collettività rimasta stordita da una perdita così brusca e repentina, così inaccettabile per la gioventù (Romanelli aveva 33 anni), per la bellezza e la vitalità di chi è scomparso.
Nel 2019 Tommaso Romanelli trova quasi casualmente delle videocassette, in cui compaiono «cinque figure, avvolte nelle cerate rosse e gialle, nel mezzo della tempesta: erano le immagini della traversata dell’Atlantico della barca Fila durante la quale mio padre e i compagni di equipaggio si erano filmati con una videocamera fino a pochi momenti prima del naufragio». Con pudore, rigore, forza di volontà il regista crea un percorso: riallaccia i rapporti con lo zio Marco, fratello del padre, e insieme a lui restaura l’American Express, una vecchia barca di legno di sei metri che il padre aveva rimesso a nuovo per fare la Mini Transat nel 1993, una regata in solitaria, in cui aveva messo in luce le sue doti di velista e costruttore. Individua la trama ambivalente del marinaio in un’audiocassetta, registrata dal padre proprio durante la Mini Transat, in cui parla virtualmente con la moglie Fabrizia, futura madre di Tommaso: «Quando sono a casa bramo di essere nell’oceano e adesso sono nell’oceano vorrei essere con te, a casa… Mi domandavo come mai qui mi riesce più facile parlare…».
Scolpisce per sé e per lo spettatore la figura di un figlio (il found footage con gli 8 mm d’archivio del nonno paterno), di un marito (attraverso i video dei suoi genitori assieme) e di un agonista, troppo caro agli dei, in un ricordo morbido e anche solare molto diverso, anche se di eguale brillantezza registica, da Un’ora sola ti vorrei di Alina Marazzi.
Poi Romanelli salta dall’altro lato e diventa documentarista: chiede agli altri, all’equipaggio, agli amici e familiari di sbozzare il padre. Ricostruisce il lato competitivo, la competenza, la laboriosità, l’ossessione per le barche. Scova, meticoloso come un ingegnere, perfino i video industriali in cui il padre lavora al cantiere Tencara del Moro di Venezia. Il terzo balzo lo fa diventando inchiestista. Con voce a volte tremante, ma implacabile, chiede a tutte le persone coinvolte la versione di quella terribile notte e le mescola alla cronaca. Fu quello un episodio che scosse il pubblico perché la vela, grazie anche a Soldini, aveva allora entusiasmato gli italiani, come oggi il tennis di Sinner. Romanelli tiene bene e con forza la sua linea, non dà soluzioni, ma ogni spettatore può farsi un’idea sulla verità. Lui prosegue dritto nella sua costruzione di sé, dritto nel dolore proprio e altrui a cercare un’accettazione.
Fonte: Il Sole 24 Ore