Ancelotti e Gasperini, il made in Italy virtuoso del calcio europeo
A pensarci sembra incredibile: eppure è vero. E la dice lunga su come sia strano e contraddittorio, povero ma ricco, il calcio italiano. Ci riferiamo alla prossima finale di Supercoppa europea che sarà giocata il 14 agosto a Varsavia tra il Real Madrid, freschissimo vincitore della Champions, e l’Atalanta che a Dublino ha alzato al cielo l’Europa League. Perchè questa sfida è così incredibile? Primo perchè contro il blasonato Real ci sarà l’Atalanta, squadra certo sull’onda, ma senza la formidabile tradizione dei blancos; secondo perché sarà un vero e proprio derby tra due allenatori Italiani, Ancelotti e Gasperini, non più giovanissimi (65 e 66 anni) che stanno lasciando un’impronta memorabile nella storia del calcio europeo, e forse non solo continentale.
Ovvio che Carlo Ancelotti, al suo quinto trionfo in Champions da allenatore, ha un storia personale non paragonabile per quantità e profondità a quella di Giampiero Gasperini. Però è indubbio che anche il tecnico bergamasco, impresa di Dublino a parte, abbia raggiunto un prestigio e una credibilità quasi impensabile fino a qualche tempo fa.
I complimenti all’Atalanta
Ricordiamo i commenti pubblici ricevuti da Klopp e Guardiola (“A giocare contro l’Atalanta viene il mal di denti…”), o dal “Guardian” che ha definito l’Atalanta “una delle squadre più divertenti al mondo”. Complimenti meritati perchè oltre al gioco, come gli riconoscono tutti, Gasperini ha avuto il pregio di valorizzare e lanciare giocatori (Lookman, Scamacca, De Keteleare e via elencando) che altrove si erano persi per strada o comunque venivano poco considerati. Con dietro certo una società diventata un modello virtuoso per il calcio italiano, ma comunque ben centrata sul lavoro del Gasp, non più come prima ritenuto un periferico genio incompiuto inadatto a una squadra metropolitana.
Incredibile ma vero. Il nostro calcio, nonostante tutti i suoi difetti (bilanci in rosso, cifre folli degli ingaggi, stadi fatiscenti, fondi stranieri che vanno e vengono) riesce comunque a produrre questi “miracoli” di cui ci capacitiamo solo a cose fatte o a imprese compiute. Siamo strani: andiamo a caccia di allenatori strapagati come Conte ed Allegri e poi ce ne lasciamo sfuggire altri come Claudio Ranieri, capace di portare nel 2016 il Leicester al titolo in Premier League. E non è bastata neppure quella impresa, visto che poi Ranieri si è dovuto specializzare, come col Cagliari quest’anno, in squadre da salvare, non venendo considerato comunque degno di panchine più ambiziose.
Le cadute di Re Carlo
Lo stesso Carlo Ancelotti, ora giustamente osannato (“Carlo V, re d’Europa”), è dovuto passare dalle sue forche caudine, tipo il grigio esilio nell’Everton e la precedente cacciata da Napoli quando nel dicembre 2019, dopo una serie di risultati negativi, venne licenziato dal presidente de Laurentiis per essersi espresso contro il ritiro punitivo dei giocatori partenopei. Ora tutti dicono che Ancelotti è un allenatore da record perchè guida una grandissima corazzata come il Real Madrid, ma non basta disporre di top player per continuare a primeggiare. Lo conferma il Paris Saint Germain, vetrina di talenti straordinari, ma sostanzialmente poco vincente. Il tecnico emiliano, ben sostenuto dal presidente Florentino Perez con un contratto fino al 2026, ha una qualità che pochissimo altri hanno: quella di saper gestire dei campioni con cui bisogna riuscire ad entrare in sintonia. Sapergli parlare, ascoltarli.
Fonte: Il Sole 24 Ore