Anicav e Coldiretti in disputa sulle importazioni”

La risposta dell’industria

Ma l’Anicav non ci sta. “Concentrati, pelati, passate, polpe e pomodorini che troviamo sugli scaffali dei supermercati sono ottenuti da pomodoro 100% italiano di alta qualità, come indicato anche in etichetta, che deve essere lavorato entro 24 ore dalla raccolta, tempi di lavorazione incompatibili con quelli che sarebbero necessari a importare la materia prima da altri Paesi”, ribadisce allo sfinimento Giovanni De Angelis, direttore generale dell’associazione. “Che si parli di pomodoro cinese o di altro paese anche europeo per i pelati, la polpa, la passata e i pomodorini è un assurdo”.

D’altronde dal concentrato – ovunque prodotto – che ha una caratteristica di liquido, non si possono ottenere prodotti solidi, come il pelato o la polpa. “Sarebbe come pretendere di ricavare da una bottiglia di vino trenta o più grappoli d’uva”, dice.

E allora che fine fa il prodotto che arriva nei porti italiani?

Le importazioni di concentrato che arrivano nel porto di Salerno avvengono per lo più in regime di temporanea importazione, per cui il concentrato entra in Italia per poi essere riesportato verso Paesi extra-comunitari, lasciando in Italia solo il valore aggiunto che si genera in termini di occupazione e marginalità.

Il vero tema è la reciprocità

Da anni il comparto denuncia un divario sui costi tra filiere europee che producono in modo etico, sostenibile e perseguendo una corretta remunerazione ed omologhe non direttamente legate alla lavorazione del pomodoro fresco che, allo scopo di abbassare i costi di produzione, prediligono la lavorazione di derivati provenienti da Cina, Iran, Turchia ed Egitto, al di sotto degli standard minimi. “La produzione di pomodoro cinese – spiega Alessandro Squeri, dg di Steriltom, società leader in Europa nella produzione di polpa di pomodoro per il settore Food Service e Industriale – non segue gli stessi criteri di sicurezza europei in termini di pesticidi, ogm, tracciabilità, sostenibilità; l’Europa da una parte chiede ingenti sforzi alle imprese europee, ma allo stesso tempo permette l’importazione di prodotti che alimentano una concorrenza sleale”.

E il dato diventa ancora più allarmante quest’anno, visti i dati in crescita.

Fonte: Il Sole 24 Ore