Antonio Canova sotto nuova luce

Antonio Canova sotto nuova luce

Un mare così bianco. È l’Ala Ottocentesca della Gypsotheca Antonio Canova che brilla di una luce nuova e bianchissima. Perfetta per accendere di una bellezza mai vista i gessi del maestro di Possagno (Treviso). Arrivano così a conclusione i lavori che in sette anni hanno portato al consolidamento strutturale dell’edificio, al miglioramento sismico della seconda e terza campata dell’Ala e a un completo riallestimento illuminotecnico. L’Ala Ottocentesca è una carezza di luce, lascia senza fiato e i gessi paiono muoversi, uscire dalle pareti per venirci incontro. Non hanno nulla della immobilità inespressiva di cui li accusava Roberto Longhi. E sembra quasi di risentire la frase che Antonio Canova ripeteva spesso: «Ciò che mi rende più impaziente è vedere l’effetto che l’opera produrrà sulle anime del pubblico».

La Gypsotheca, la più grande di tutta Europa, nasce per volere del vescovo Giovanni Battista Sartori, fratellastro dello scultore. Aveva fatto trasportare via mare le opere presenti nello studio romano di Canova perché sarebbe stato rischioso non prendersene cura: i gessi potevano venir rubati o usati per falsificazioni. In un paio d’anni, dal 1834 al 1836, si passa dalla progettazione dell’architetto Francesco Lazzari di Venezia, che la immagina a forma basilicale come un tempio della scultura, all’apertura; nel 1917, durante la Grande Guerra una granata colpisce l’edificio, polverizza alcune opere e altre le rovina. Ma i conservatori Stefano e Sirio Serafin si occupano del recupero e nel 1922 riapre al pubblico. Dopo la Seconda guerra mondiale, la Gypsotheca assume l’aspetto attuale con un geniale e modernissimo intervento di Carlo Scarpa: gli spazi aggiunti nel 1957 si incuneano nel giardino in modo così naturale che è la luce delle colline intorno a valorizzare i bozzetti in argilla e i capolavori di Canova, che l’architetto veneto dispose in modo molto scenografico. Quest’anno sarà proprio l’Ala Scarpa a essere interessata da un progetto di restauro.

I lavori, promossi dal Comune di Possagno, in collaborazione con il Museo, sono stati finanziati dal Fondo Cultura del ministero: «Il nuovo impianto di illuminazione – spiega la direttrice del Museo, Moira Mascotto – ha le luci rivolte alla volta e così l’effetto sulle opere è qualcosa di mai visto».

L’ingresso alla Gypsotheca è un brivido: in fondo alla grande aula basilicale troneggia il gruppo scultoreo di Ercole e Lica (1795-1815), per il quale Canova si era ispirato alla Trachinie di Sofocle «Per un de’ piedi il furibondo Alcide afferra e scaglia Lica» (verso 792). L’eroe infuriato sta per lanciare in aria il giovane messaggero che si aggrappa al suolo, quasi in un desiderio di infinito. Sono monumentali nel loro moto, nella loro tragicità e abbracciano le altre opere intorno: Papa Pio VI, l’immensa Religione Cattolica, il Ritorno di Telemaco a Itaca, il Cenotafio di Ottavio Trento e Napoleone come Marte Pacificatore. Ci sono anche il monumento funerario a Maria Cristina d’Austria, Paolina Borghese, le Grazie, Amore e Psiche e tutti i bassorilievi che sono tornati in sede nella prima campata: la mitologia e la storia si intrecciano in un inno solenne alla scultura. La classicità è la musica che accompagna gli occhi da un’opera all’altra, anche nei particolari. Provate a osservare i piedi delle statue: il dito illice (indice) è quasi sempre più lungo dell’alluce e questa è una caratteristica genetica tipica dei greci del V secolo a.C. e di oggi.

Per abbeverarsi di classicità, Canova, poco più che ventenne, sceglie Roma ma il suo talento era già certezza: a 10 anni, durante una cena fra nobili, ad Asolo, aveva ricavato in un panetto di burro un Leone di San Marco con le ali spiegate che aveva meravigliato tutti. Anche il suo modus operandi è unico: dopo i primi schizzi, è solito creare un piccolo modello in argilla, poi uno a grandezza naturale, e riveste l’argilla di gesso. In seguito, scioglie l’argilla dall’interno e, quando il gesso si è solidificato, riempie la forma vuota di gesso che diventa il modello per scolpire il marmo. Per cui l’opera in marmo è la copia dal gesso, che può essere riprodotto più volte. Su molti dei gessi presenti, inoltre, si notano le repère, i chiodini in piombo che l’artista usava per prendere le misure con il compasso e poi riportarle nella sbozzatura della materia. Rifinitura dopo rifinitura, emergono le curve del corpo e le ciocche dei capelli. Millimetri di volume e di luce che il museo, visitato nel 2024 da oltre 50mila persone, offre la possibilità di sperimentare con i laboratori didattici. O anche grazie alla digitalizzazione completa, realizzata in questi anni, di tutte le opere del Museo-Gypsotheca.

Fonte: Il Sole 24 Ore