ArtBasel Statements: effetto Biennale tra gli artisti emergenti

ArtBasel Statements: effetto Biennale tra gli artisti emergenti

Quest’anno ad ArtBasel la sezione Statements, dedicata alle presentazioni monografiche di artisti emergenti dal mondo, sente “l’effetto Biennale”. Con poche eccezioni, sono gli artisti queer o di provenienza non occidentale – del Global South per usare una terminologia cara ad Adriano Pedrosa, direttore artistico di «Foreigners Everywhere» della 60ª. Mostra Internazionale La Biennale di Venezia, che si aggirava tra gli stand – a ridefinire l’estetica contemporanea all’insegna della biopolitica e delle ricerche identitarie. Un processo che prende avvio spesso da esperienze di migrazione o marginalizzazione, e spinge l’artista a farsi portavoce della propria comunità o a ripensare le proprie esperienze personali, che prendono vita in forma pittorica, scultorea o video.

Il premio

Tra le 18 gallerie selezionate per Statements, due si sono aggiudicate il prestigioso Baloise Prize, un premio di 30.000 franchi svizzeri e acquisizione di alcune delle opere degli artisti per le due istituzioni partner, MMK Museum Für Moderne Kunst di Francoforte e Mudam Museo di Arte Contemporanea del Lussemburgo. La prima, OSL contemporary di Oslo, ha presentato uno stand immersivo di Ahmed Umar (Sudan, 1988), artista queer di origini mussulmane in scena alla Biennale di Venezia – e in autunno alla Biennale di Toronto e in galleria – la cui pratica intreccia intento scultoreo e dimensione performativa. L’opera in progress, «Forbidden Prayers», consiste di 15 nuove sculture della sua mano destra in posizioni diverse cui sono affidati materiali trovati e riassemblati in forma di talismani – tra legni, metalli e materiali organici. Collegata da un filo a un drappo che ricopre lo stand, l’opera è in vendita a 80.000 euro. La seconda galleria vincitrice è Felix Gaudlitz di Vienna con «The Sojourn», un’opera video installativa di Tiffany Sia (Hong Kong, 1988) che indaga la dimensione romantica e filmica del racconto del proprio paese nativo, a prezzi tra 10-22.000 euro. L’artista segue le tracce del registra King Hu, famoso nel campo wuxia, i film dedicati alle arti marziali, offrendo una riflessione meditativa sui diversi livelli di lettura, artistica e socio-politica, di un luogo di appartenenza.

La patria ricercata

La rivisitazione di narrazioni culturali e politiche in chiave contemporanea echeggia nell’opera «Laws of Ruins», un film a 18.500 dollari dell’artista egiziana Marianne Fahmy (Alessandria d’Egitto, 1992), da Gypsum Gallery Cairo. L’artista, il cui lavoro è in mostra alla 9ª. Biennale Gherdëina, usa filmati di repertorio e nuovi girati per indagare la questione nazionalista. Lo fa mescolando la sua voce e quella di Arwa Saleh, leader femminista delle proteste studentesche egiziane negli anni ’70, a immagini di folle e rovine romane che oggi – lentamente e anche per effetto del cambiamento climatico – riaffiorano a mare, simboli di un passato che resta e indizi di un futuro incerto.

La patria diventa oggetto della memoria nel lavoro di Nour Jaouda (Libia, 1997) e Francisco Rodriguez (Santiago del Cile, 1989), entrambi con un curriculum accademico londinese, rispettivamente al Royal College of Art e a UCL. Jaouda, rappresentata da Union Pacific di Londra e in mostra alla Biennale di Venezia, crea collage di tessuti ispirati al mondo botanico e immersi nei colori del Cairo, la città in cui vive oggi, ma anche sculture in acciaio, cemento e ceramica dalle linee porose e gli accenti materici a suggerire soglie e passaggi fisici e temporali. Le opere, di vari formati e tecniche, sono state vendute tra 16-120.000 sterline. Rodriguez, invece, nato e cresciuto in Cile all’indomani della fine del regime militare di Pinochet, indaga le contraddizioni del suo paese, in costante stato di trasformazione, tra spinte neoliberiste e una dittatura che ancora incide nella vita politica attraverso leggi e testi, come la costituzione cilena. L’artista ha presentato un dipinto site-specific sulle tre pareti dello stand di White Space di Beijing al prezzo di 220.000 dollari. L’opera si sviluppa in modo radiale intorno a un centro rappresentato da un’aula vuota, e mette in scena momenti di spensieratezza, attivismo e formazione di un gruppo di studenti colti in un momento della vita, l’adolescenza, in cui tutto può succedere.

Memoria e infanzia

Un episodio personale è all’origine del lavoro dell’artista angolana Sandra Poulson (Lisbona, 1995), anche lei ex alunna londinese ma della Central Saint Martins, rappresentata da Jahmek Art di Luanda a prezzi tra 12-21.000 euro e presente alla Biennale di Venezia. Gli studi nel campo della moda riecheggiano nelle opere, tutte cucite a mano e impregnate di resina durante un processo che richiede diverse settimane per la realizzazione. Qui diversi elementi, figure umane in uniforme, uno zaino, dei libri, una porta, ricostruiscono una scena dell’infanzia dell’artista in cui fu circondata da uomini armati mentre si recava a scuola. Trattasi, secondo l’artista, di un’esperienza condivisa con molti angolani e che spesso ricorre nella memoria collettiva di colonie di paesi occidentali.

Fonte: Il Sole 24 Ore