Assegno di divorzio per le coppie dello stesso sesso, la parola alle Sezioni unite
Saranno le Sezioni unite a stabilire se, nel decidere sul diritto e sulla quantificazione dell’assegno di divorzio dopo la separazione di due persone dello stesso sesso, possano essere considerati anche i fatti avvenuti prima dell’unione civile resa possibile dalla legge Cirinnà nel 2016. Per la prima volta la Suprema corte si occupa della domanda di un assegno divorzile dopo il naufragio del rapporto tra due donne – iniziato molto prima che la legge 76/2016 rendesse possibile una regolamentazione – e culminato con le “nozze” dopo il 2016. La Suprema corte, sottolinea l’assoluta novità della questione e l’importanza di dare una risposta al passo con i tempi, a problemi di coppia che nuovi però non sono affatto. Il motivo del contendere tra le due ex è lo stesso che i giudici si trovano ad affrontare tutti i giorni: il diritto all’assegno chiesto dal coniuge debole, la scelta del tipo di “mantenimento”, perequativo, compensativo o assistenziale. E, come sempre, il coniuge che chiede il sostegno mette sul tavolo i sacrifici fatti: dalla carriera, alla disponibilità a prendersi cura della famiglia. Il caso esaminato non fa eccezione. Una lei, che lamenta una perdita di chance, aveva lasciato la sua città e delle opportunità di lavoro, trovandone poi altre, per seguire la sua compagna. Tutto questo avveniva però prima dell’unione civile. Dunque per la Corte d’Appello non può essere considerato.
Il richiamo alla legge sul divorzio del ’70
La Cassazione la fa meno semplice, perché il rischio di una disparità di trattamento con le coppie eterosessuali è dietro l’angolo. La Suprema corte parte dalla lettura della legge Cirinnà. In particolare dall’articolo 1 nel quale si precisa che, per assicurare l’effettività della tutela «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso». Chiarito che l’unione civile si scioglie per volontà, ovviamente anche di una sola parte, della coppia, la Suprema corte ricorda che la legge sul divorzio del ’70 impone al giudice di analizzare tutti gli elementi in grado di incidere sull’assegno di divorzio, durata delle nozze compresa.
La Convenzione europea dei diritti dell’Uomo
Per la Suprema corte, la decisione della Corte d’Appello che esclude la rilevanza dei fatti pre nozze, rischia di entrare in rotta di collisione con la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, come interpretata dai giudici di Strasburgo. La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha, infatti, in più di un’occasione censurato l’Italia, per gli effetti discriminatori. Una sentenza tra tutte, la Oliari del 2015, ha aperto la strada all’adozione della legge Cirinnà, per porre rimedio al deficit di tutela nei confronti delle coppie omossessuali. Un vuoto che, per Strasburgo, andava oltre il margine di discrezionalità concesso agli Stati. Ora la parola passa alle sezioni unite che dovranno stabilire se il legislatore, con il rinvio della Cirinnà alla disciplina sull’assegno di divorzio, abbia inteso regolare gli effetti patrimoniali dell’Unione civile in crisi, solo per il periodo precedente la sua entrata in vigore.
La novità e l’importanza della questione trattata
Ad avviso della Cassazione sono questioni della massima particolare importanza «in ragione non solo dell’assoluta novità delle stesse e, conseguentemente delle possibili ricadute della decisione su un numero rilevante di controversie instaurate ed instaurande, ma anche in ragione della natura dei temi in discussione che toccano direttamente la collettività e l’evoluzione della coscienza sociale, per ciò stesso richiedendo, ad avviso del Collegio, l’intervento delle Sezioni unite, chiamate a salvaguardare al più alto livello la nomofiliachia».
Fonte: Il Sole 24 Ore