“Asteroid City”, Wes Anderson mescola western e fantascienza

Wes Anderson è il protagonista del weekend in sala: dopo la masterclass tenuta all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, dove ha presentato “La meravigliosa storia di Henry Sugar”, il regista americano torna al centro della cronaca cinematografica nazionale per l’uscita di “Asteroid City”, una delle novità più attese della settimana.
Presentato in concorso al Festival di Cannes di quest’anno, il film è ambientato in un’immaginaria e remota cittadina americana desertica, dove si svolge un convegno di astronomia, noto come Junior Stargazer. La convention attira diversi studenti con i rispettivi genitori, ma molto presto le storie di questi personaggi finiranno per sovrapporsi in modi del tutto inaspettati.
Mescolando western e fantascienza, Wes Anderson crea una pellicola senza dubbio curiosa, diversa per tanti elementi narrativi dai suoi film precedenti, ma del tutto coerente con il resto della sua carriera per le scelte stilistiche, tra immagini perfettamente simmetriche e movimenti della cinepresa precisi e regolari.

L’attenzione alla costruzione delle inquadrature è sempre al primo posto nei pensieri del regista americano e lo conferma anche questo lungometraggio in cui, tra i tanti aspetti riconoscibili del cinema di Anderson, c’è inoltre la presenza del solito cast all-star: da Jason Schwartzman (uno degli attori prediletti dall’autore) a Margot Robbie, passando per Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Tom Hanks, sono davvero tantissimi i volti noti in questa storia collettiva.

Un gioco di scatole cinesi

Due anni dopo “The French Dispatch”, Wes Anderson prosegue a dare vita a un cinema sempre più astratto e teorico, utilizzando continui giochi di scatole cinesi sul versante narrativo che rendono le sue pellicole molto complesse e stratificate.Se il film si fa apprezzare per la sua ironia e per la messinscena, meno riuscito è invece il versante drammaturgico, così come la base concettuale dell’operazione, decisamente più annacquata rispetto a quella del suo film precedente.Rimangono l’estetica elegante e una serie di riflessioni non banali sulle paure collettive (la bomba atomica) e individuali (la solitudine) dell’essere umano, ma nel disegno generale qualcosa scricchiola e alla lunga il giochino tra realtà e finzione rischia anche di stancare.Come tutti i lavori del regista, però, “Asteroid City” è comunque un prodotto da vedere e da interpretare, un film intelligente seppur vittima di troppi passaggi che sanno di già visto per potersi dire pienamente riuscito.

The Palace

Tra le novità in sala c’è anche “The Palace”, il nuovo film di Roman Polanski, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2023.Il titolo fa riferimento a un grande albergo situato nel bel mezzo di una valle svizzera, dove ogni anno convergono da tutto il mondo ospiti ricchi e viziati. La festa di Capodanno 2000 li ha riuniti tutti per celebrare insieme l’arrivo del nuovo millennio: al servizio delle loro stravaganti esigenze c’è uno stuolo di camerieri, facchini, cuochi e receptionist, pronti praticamente a tutto per accontentarli.Quattro anni dopo il bellissimo “L’ufficiale e la spia”, Roman Polanski è tornato dietro la macchina da presa per un divertissement grottesco e incentrato su quell’ipocrisia borghese che ha spesso raccontato in passato: da “Il coltello nell’acqua”, il suo esordio del 1962, a “Carnage” (2011), passando per il poco conosciuto “Che?”.Il grande regista di capolavori come “Rosemary’s Baby” e “Chinatown” si concentra sulla paura del Millennium Bug e sulla “apocalisse”, simbolicamente parlando, che è arrivata comunque in senso morale per diversi fattori che il film racconta: tra questi, anche la salita al potere di Putin in Russia.Si percepisce che la pellicola sia sulla carta un’operazione ricca di stimoli non indifferenti, ma nella resa il film purtroppo si perde a causa di troppi passaggi grossolani e forzatamente demenziali che non aiutano il risultato finale.Non mancano momenti divertenti e surreali al punto giusto, ma il tocco di Polanski si sente raramente e la sensazione è quella di aver assistito a un’occasione quasi del tutto sprecata. Da un autore come lui era lecito aspettarsi ben altro.

Fonte: Il Sole 24 Ore