Autonomia, oggi la Consulta decide sul referendum: partita aperta, ma forti le ragioni per uno stop

Autonomia, oggi la Consulta decide sul referendum: partita aperta, ma forti le ragioni per uno stop

Ormai ci siamo. Gli undici giudici costituzionali presieduti temporaneamente da Giovanni Amoroso – presidente facente funzioni fino all’elezione vera e propria, che avverrà probabilmente già in settimana – hanno provato ad attendere l’elezione del Parlamento dei quattro colleghi mancanti per completare il quorum, ma invano: lo spostamento dal 13 al 20 gennaio dell’attesa udienza per decidere sull’ammissibilità dei referendum abrogativi, in primis quello sull’autonomia differenziata targata Calderoli, ha prodotto solo l’ennesima (la quattordicesima, per la precisione) valanga di schede bianche. Nessun accordo tra i partiti, insomma, e non è detto che la quadra ci sarà per il 23, giorno in cui i presidenti delle Camere hanno riconvocato il Parlamento in seduta comune.

Decisione in undici

Si deciderà in undici, dunque. E gli occhi di Palazzo Chigi e della politica tutta, a cominciare dallo stesso ministro leghista degli Affari regionali Roberto Calderoli, sono naturalmente puntati sull’autonomia differenziata. Che Giorgia Meloni non voglia metterci la faccia lo ha confermato lei stessa durante la conferenza stampa di fine/inizio anno («sui referendum farò un passo di lato»). La premier, infatti, si risparmierebbe volentieri una campagna elettorale per difendere una legge che non ha mai sentito sua e che servirebbe più che altro a compattare le opposizioni contro il governo. Per il resto sono in molti a sperare che i giudici costituzionali, dopo essere intervenuti pesantemente sulla legge Calderoli con la sentenza 192 del 2024 che ha cancellato ben 7 punti e ne ha riscritti in maniera “costituzionalmente corretta” altri 5, ritengano a questo punto inammissibile il quesito decretando così lo stop al referendum previsto per la prossima primavera. Anche per questo il governo, come è per altro capitato altre volte per i referendum abrogativi, resta alla finestra: a Palazzo della Consulta, nella camera di consiglio allargata al comitato promotore, non ci sarà l’avvocatura dello Stato per sostenere l’inammissibilità del quesito.

Governo alla finestra

A difendere la legge ci sarà solo la regione Veneto con una memoria redatta dal costituzionalista Mario Bertolissi. E a scorrere le argomentazioni si capisce per altro meglio il motivo per cui il governo ha deciso di stare in disparte: paradossalmente l’argomentazione principale contro l’ammissibilità del quesito è – in sostanza – che dopo l’intervento della Consulta sono cambiati gli stessi “principi ispiratori” della legge Calderoli (la gestione dell’iter e la definizione dei Lep che passano dall’esecutivo al Parlamento, le materie da trasferire che diventano solo funzioni eccetera) e che dunque non ha più senso celebrare un referendum su una legge che non c’è più.

Partita aperta

La partita è in ogni caso aperta, perché la Consulta potrebbe in effetti stoppare in via definitiva il referendum nonostante il via libera della Cassazione: il giudizio sull’ammissibilità non funziona come giudizio di secondo grado – come spiega l’esperto della materia referendaria Peppino Calderisi – ma i giudici costituzionali potrebbero ritenere il quesito non ammissibile secondo altri criteri, a cominciare dalla mancanza dei requisiti dell’omogeneità e della comprensibilità del testo/domanda da sottoporre agli elettori. Facendo così un favore allo stesso Pd, che rischia altrimenti di trasformare una vittoria giuridica (lo “smantellamento” della legge Calderoli effettuato con la sentenza 192 del 2024) in una sconfitta politica, vista l’alta probabilità di non raggiungere il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto in epoca di forte astensionismo, soprattutto al Sud.

Fonte: Il Sole 24 Ore