Banche, al via fondo da 300 milioni: un paracadute per le piccole

Banche, al via fondo da 300 milioni: un paracadute per le piccole

Un fondo con una dotazione (indicativa) di 300 milioni circa, finanziato dal sistema bancario su base volontaria, per intervenire sulle banche minori e prevenire possibili situazioni di crisi: è il progetto a cui sta lavorando lo Schema volontario, l’associazione costituita all’interno del Fondo interbancario. Allo Schema aderiscono 102 banche italiane, ovvero il 78% delle banche consorziate al Fitd, a copertura del 93,4% dei depositi protetti totali.

Il progetto

L’idea, messa a punto da una commissione interna agli organi dello Schema, da quanto raccolto dal Sole 24Ore dovrebbe vedere la luce indicativamente entro il primo semestre. La ratio dell’iniziativa è quella di agire in maniera preventiva sulle banche più piccole e fragili ma ancora in bonis, in una logica di “early intervention”. Il radar dei veicolo è rivolto in particolare al mondo delle banche less significant, comparto variegato, prevalentemente in ottima salute, vista anche la stagione dei maxi-tassi, ma contrassegnato anche da una manciata di banche – si parla di una decina di istituti – in condizioni di difficoltà non conclamate, e che però sono oggetto di attenzioni anche di Banca d’Italia.

Per lo Schema volontario – soggetto nato dopo l’annullamento da parte della Corte europea del provvedimento Ue che bollava come aiuti di Stato non consentiti gli interventi preventivi del Fitd su Tercas – si tratta insomma di guardare più in prospettiva, che non agire di emergenza. Anche perché, come evidenziato dallo stesso Governatore Fabio Panetta all’Assiom Forex a inizio febbraio, serve muoversi in anticipo rispetto al sorgere dei problemi. «Già oggi dobbiamo interrogarci sui rischi che potremmo trovarci a fronteggiare domani», aveva evidenziato il numero uno di Palazzo Koch, richiamando i banchieri a porre attenzione ai talloni d’Achille costituiti dal caro-raccolta, di una riacutizzazione dei crediti deteriorati e di una debolezza del capitale. Seguendo questa logica, lo Schema-Fitd, che ha tra i suoi poteri anche quello del monitoraggio delle banche consorziate, interverrebbe su istituti in condizioni di debolezza patrimoniale – o segnati da un’accentuazione dei rischi o delle criticità del modello di business – per prevenire crisi che possano portare alla liquidazione. Soluzione, quest’ultima, che avrebbe costi ben peggiori per il sistema, dato l’obbligo del Fitd di proteggere i depositi.

Di fatto rinasce così l’abortito “progetto Nettuno”, il piano che a fine 2022 stava prendendo piede poggiando su un co-finanziamento pubblico (200 milioni) e privato (300 milioni), per 500 milioni totali. Venuta meno la dote pubblica, oggi si punta a una potenza di fuoco di 300 milioni, che verrebbero apportati dagli aderenti allo Schema. Il valore è come detto indicativo, e dovrà essere definito dall’Assemblea tra maggio e giugno, una volta che il Consiglio di Gestione avrà approvato le modifiche allo statuto. Ancora da decidere se il tiraggio avverrà ex ante, per poter poi intervenire liberamente, oppure se sarà su chiamata in caso di bisogno. Nel caso del progetto Nettuno, lo schema prevedeva la creazione di un fondo mobiliare chiuso, gestito da una Sgr, che avrebbe avuto il compito di decidere il salvataggio. In questo caso l’intervento dello Svi sarebbe direttamente nel capitale o in strumenti di debito o di garanzia.

Il Fitd, stop ai contributi

Ieri intanto a Roma, l’Assemblea del Fitd (che si è tenuta insieme a quella dello Svi) ha approvato il bilancio 2023 e preso atto che il Fondo, al pari del Fondo di risoluzione europeo, nel 2024 sarà di fatto a regime. Grazie ai contributi delle banche, che dal 2015 hanno raggiunto circa 8 miliardi di euro, al 2 luglio 2024 (data a cui viene anticipata la rata rispetto a dicembre) la dotazione finanziaria sarà pari a circa 5,8 miliardi di euro, pari all’0,8% dei depositi protetti, livello considerato target. A Al 31 dicembre 2023, la dotazione finanziaria disponibile è di circa 4,6 miliardi di euro, corrispondente allo 0,63% dei depositi protetti. Una buona notizia per le banche. Perchè in assenza di nuovi interventi, non ci sarà necessità di ulteriori ritocchi, se non di aggiustamenti legati alla base dei depositi.

Fonte: Il Sole 24 Ore