Barolo, Ascheri e un modello che non cerca la crescita a tutti i costi

Barolo, Ascheri e un modello che non cerca la crescita a tutti i costi

È l’unica cantina rimasta nel comune di Bra, in quel territorio della provincia di Cuneo, nelle Langhe, vocato alla produzione di Barolo, con 2.200 ettari vitati. Ed è una impresa «irregolare». O almeno lui, sesta generazione di viticoltori dalla fine dell’Ottocento, la definisce così: un’azienda che prima di tutto non vuole incrementare la superficie vitata per non compromettere la bellezza del territorio e per assicurarsi il futuro.
«Tra guerre, recessioni, cambiamenti degli stili di vita o cambiamenti climatici, non puoi controllare tutte le variabili in gioco a livello globale – dice Matteo Ascheri -. L’unica cosa che puoi controllare è l’offerta, non aumentando la produzione per mantenerti su una fascia di mercato alta. Sono convinto che solo il vino di elevata qualità continuerà a tenere».

Ascheri è il titolare, insieme alla madre e alla sorella, dell’omonima Cantina Matteo Ascheri, un fatturato di 4,5 milioni e mezzo di euro e un totale di 45 dipendenti. Uno che non vuole espandersi – né tantomeno trasferire l’azienda in prossimità dei suoi 40 ettari di vigneti, tutti gestiti direttamente – per non consumare altro suolo e non rompere l’equilibrio naturale del magnifico paesaggio collinare delle Langhe. Poi vuole produrre solo con i terreni di proprietà e unicamente con i propri dipendenti, evitando qualsiasi tipo di appalto esterno che possa rischiare di essere infiltrato dal caporalato, in un’area dove le cooperative rappresentano il 50% dell’offerta di manodopera per il settore. Scelte etiche. Ma non solo.
«Piantare più vigneti – osserva – significa prima di tutto generare un impatto ambientale molto forte sulla natura e sulla biodiversità e anche affrontare maggiori problemi nella ricerca del personale. Poi c’è l’aspetto prettamente economico: più vino produci e più aumenta il rischio di doverlo vendere a un prezzo inferiore».

Ascheri per sei anni è stato presidente del Consorzio del Barolo, che associa 570 produttori tra cantine e viticoltori. Carica grazie alla quale ha combattuto molte battaglie. Battaglie che oggi porta avanti con la sua azienda. Per non impattare sull’ambiente, per una produzione sostenibile. Anche denunciando apertamente le mire speculative dei fondi di investimento, che hanno spinto anche la forte impennata del valore dei terreni – oggi nelle Langhe si è arrivati a quotare due milioni di euro un singolo ettaro – soprattutto dal 2016 in poi. Da quando, cioè, cioè l’Unione europea ha autorizzato un incremento annuale dell’1% delle superfici vitate sul totale dei vigneti nazionali.
«Le nostre aziende – spiega Ascheri – sono prettamente a conduzione famigliare e sono molto legate al territorio. Se subentra un fondo di investimento tutto ciò che ruota intorno alla centralità delle persone, che sono parte integrante del successo dei nostri vini, viene soppiantato dal capitale. Uno degli effetti è che il valore dei terreni è schizzato alle stelle».

Subentrato nel Duemila alla conduzione della cantina, Ascheri ha prima di tutto ristrutturato i vigneti, per ottenere una produzione agricola di alta qualità. Poi ha puntato sulla diversificazione, aprendo anche una struttura ricettiva e una osteria, che hanno cambiato la fisionomia dell’azienda. Oggi produce 240mila bottiglie all’anno, per il 90% destinate all’estero – tra Barolo, Barbera, Nebbiolo, Dolcetto -, in particolare a Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Canada.

Fonte: Il Sole 24 Ore