Bulgari in Cina: una mostra

A ogni ora del giorno, spesso anche di sera, i pechinesi amano tuffarsi nelle acque del fiume Liangma, che attraversa il centrale distretto di Chaoyang. Pulite, piene di pesci e piante acquatiche, rivelano l’evoluzione della capitale cinese e del Paese, dove, asseriscono i nuotatori, «15 anni corrispondono a 150». Sul fiume si affaccia anche il giardino dell’hotel Bulgari, aperto nel 2017 e considerato dai cinesi più benestanti, interpellati da Hurun Report, il migliore della nazione. A pochi passi dal suo ingresso, nella futuristica Genesis Art Gallery firmata da Tadao Ando, fino al 18 agosto è allestita la mostra “Serpenti Infinite Tales”, che chiude ed è culmine (con 16 artisti) del tour di eventi Serpenti Art Factory dedicato ai 75 anni di una delle collezioni simbolo di Bulgari, partito nel novembre 2023 da Shanghai. «Non potevamo non tornare in Cina, uno dei primi mercati per il lusso, per concludere questo primo cerchio» spiega Jean-Christophe Babin, ad del marchio del gruppo Lvmh.

La mostra, da Shanghai a Pechino

Il format di Serpenti Factory ha previsto collaborazioni creative tra Bulgari e artisti contemporanei internazionali, che hanno sviluppato opere ispirate all’estetica e ai significati del serpente in esclusiva per la maison. Nella capitale, oltre ad alcuni dei creativi che hanno partecipato alle altre otto tappe mondiali del tour, si sono cimentati con la sfida anche quattro studenti dell’Accademia Centrale di Belle Arti di Pechino. «Per la Cina Pechino è la città che detta il passo in termini di arte e architettura, come dimostra la stessa Genesis Gallery – prosegue l’ad-. La mostra è di certo anche un canale per raccontare il successo di questa collezione, la sua versatilità, le sue evoluzioni: nel 1948 i serpenti davano forma solo a preziosissimi orologi segreti, per poi ispirare le creazioni Tubogas e ancora dopo quelle di Viper, collezione lanciata nel 2020 e che propone pezzi dal prezzo compreso fra 3mila e centinaia di migliaia di euro, per poi apparire sulle nostre borse. La trasformazione è insita nel serpente, un tema che la mostra indaga anche raccontando l’appartenenza di questo animale a diverse culture ed epoche».

L’evoluzione della società cinese impatta sul lusso

Anche la società cinese si è evoluta, come dimostra quello che accade lungo il fiume. Se 20 anni fa Bulgari inaugurava a Pechino il suo primo punto vendita in 8 metri quadrati al Peninsula Hotel, oggi nella capitale ne ha sei, fra boutique e rivenditori ufficiali. Sempre Hurun Report attesta che Bulgari è il marchio di gioielleria preferito dai ricchi cinesi («e negli orologi siamo quarti», nota Babin). Tuttavia, come confermato dai numeri delle recenti semestrali dei grandi gruppi del lusso, la Cina non è più l’Eldorado senza confini del settore. Nello stesso giorno in cui si inaugurava Serpenti Infinite Tales, nella capitale si chiudeva il Terzo Plenum del Partito Comunista cinese, alle prese con il rallentamento dell’economia e il raffreddamento dei consumi interni. Fenomeni che si ripercuotono sugli acquisti di lusso, afflitti in questi tempi complessi anche da una sorta di pudore per la loro ostentazione. Mentre la classe media soffre, in nome della “prosperità comune” professata da Mao in maggio la potente Amministrazione per il Cyberspazio cinese ha bloccato i profili social di alcuni influencer celebri per il loro stile di vita sfarzoso, decretati colpevoli di «mostrare una vita lussuosa basata sul denaro per attrarre follower e traffico». Per Lvmh il mercato asiatico (con la Cina) è calato del 14% nei primi sei mesi 2024 (si veda Il Sole 24 Ore del 24 luglio). Tuttavia, i marchi più significativi per storia e qualità resistono: «Credo che il nostro successo in Cina sia dovuto a più elementi – riflette Babin -: come Roma, la nostra città di origine, la Cina ha una storia imperiale e ama i suoi simboli.

La dimensione familiare, delle imprese e del vivere, è un tratto che appartiene anche a loro. Inoltre, il serpente è un elemento fondamentale nell’arte cinese, e la forma della foglia del Gingko, uno degli alberi sacri, evoca il motivo della nostra collezione Diva, che infatti in Cina ha il suo primo mercato. Siamo stati anche dei pionieri sui social, i primi ad aprire una piattaforma su WeChat, a essere su TikTok. Una strategia molto selettiva su Jd.com e su Tmall ha alimentato il nostro senso di esclusività. Abbiamo scelto ambassador locali come Liu Yifei, un’attrice 40enne e molto stimata che attrae non solo la Gen Z, ma anche quei clienti più maturi che guidano le nostre vendite. Oggi abbiamo circa 40 negozi in 25 città, e anche se è vero che il mercato interno è calato, la cittadinanza cinese per noi resta la prima per volume d’affari. I loro acquisti ora sono molto forti in Giappone, grazie a un cambio favorevole». Anche il modo di acquistare si è evoluto: «Se prima la vendita si risolveva in una veloce consegna, oggi il servizio è più importante che mai», prosegue Babin, per il quale in fin dei conti il fatto che l’industria del lusso non concentri più le sue mire di crescita solo sulla Cina è un bene: «Non è sano che si punti solo su un Paese. Basta una crisi politica, un cambio sfavorevole per mettere tutto a repentaglio. Oggi siamo più equilibrati dell’epoca pre Covid».

Allo stesso modo, puntare sull’arte è un modo per arricchire e differenziare il proprio marchio, in un contesto sempre più affollato e competitivo come quello della gioielleria. Che sia arrivato il tempo, anche per Bulgari, di dar vita a un proprio, permanente progetto in questo senso? Come per i serpenti, o l’acqua del fiume Liangma, evoluzione significa futuro.

Fonte: Il Sole 24 Ore