Buste paga più generose per favorire il rientro delle lavoratrici madri

Sconto del 50% dei contributi previdenziali a carico delle lavoratrici che rientrano dal congedo obbligatorio di maternità, per un anno. Congedo obbligatorio (e retribuito) anche per i padri, che diventerà strutturale, dal 2022, e durerà 10 giorni, da fruire entro i cinque mesi di età del figlio. Più risorse per il Fondo di sostegno alla parità salariale di genere, che ottiene 52 milioni all’anno (contro i due milioni stanziati l’anno scorso), sempre dal 2022.

È con queste tre mosse che il disegno di legge di Bilancio 2022 (nella prima stesura nota) punta a invertire la rotta sull’occupazione femminile e sul gender pay gap. Nonostante la crescita dei posti di lavoro registrata a settembre 2021 dall’Istat, resta il fatto che il tasso di occupazione generale (58,3%) è il risultato di una media fra il 67,4% di occupazione maschile e il 49,3% di occupazione femminile: una donna su due ancora non lavora. Oltre agli interventi economici, il Ddl di Bilancio prevede l’adozione di un Piano strategico nazionale per la parità di genere, «in coerenza con gli obiettivi della Strategia europea per la parità di genere 2020-2025».

Per le lavoratrici madri

Lo sconto dei contributi a carico delle lavoratrici madri, di fatto, sarà un modo per rendere più sostanziosa la busta paga delle donne che rientrano al lavoro dopo la nascita di un figlio. Il bonus si applica infatti alla quota di contributi a carico della lavoratrice (che varia dal 9,19% della retribuzione lorda al 9,45% in base ai settori). La disposizione non stabilisce se sia necessario rientrare subito dopo la fruizione dei cinque mesi di maternità obbligatoria, o anche dopo qualche mese di congedo parentale (astensione facoltativa). Valendo l’agevolazione per un anno dal rientro, sembra comunque di capire che la lavoratrice che rientrerà prima in servizio, avrà più mesi di sconto. Questo aiuto ha in pratica la stessa finalità dei voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting o di servizi per l’infanzia che era stato introdotto dalla legge Fornero nel 2012 per le lavoratrici che però, in quel caso, dovevano rinunciare all’astensione facoltativa. Dal 2019, quell’agevolazione non è più operativa.

«È interessante – spiega Paola Profeta, docente di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi – la focalizzazione sulle lavoratrici madri, perché viene introdotto una strumento che punta a essere uno stimolo al rientro al lavoro alla fine della maternità obbligatoria. Un modo per invertire la rotta: finora infatti l’attuale contesto normativo è stato di fatto più un incentivo ad allungare i tempi del rientro, se non addirittura ad arrivare al licenziamento. Pensiamo per esempio all’indennità Naspi per le madri che si dimettono durante il primo anno di vita del bambino».

Certificazione anti gender gap

I 52 milioni stanziati per rimpinguare il Fondo per il sostegno alla parità salariale di genere serviranno anche a finanziare gli sgravi contributivi per le aziende che si doteranno della «certificazione della parità di genere». Una sorta di “bollino” per attestare le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere, sul fronte delle opportunità di crescita, della parità salariale, e della tutela della maternità. La certificazione di parità è prevista nel Piano nazionale di ripresa e resilienza inviato a Bruxelles dal Governo Draghi ed è disciplinata da una legge approvata definitivamente al Senato il 26 ottobre (AS 2418). Per la piena attuazione della certificazione servono, tuttavia, una serie di decreti attuativi. Le aziende che la conseguiranno avranno diritto a uno sconto sui contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, per il 2022, pari all’1%, fino a 50mila euro annui per azienda.

Fonte: Il Sole 24 Ore