Calano crescita e spread: come stanno i conti pubblici dell’Italia?
L’Istat dimezza la crescita per quest’anno allo 0,5% rispetto all’1% previsto dal Governo e il ministro dell’Economia commenta: non è una sorpresa, «scontiamo i problemi molto seri dell’industria che continua a registrare, da un anno e mezzo, una crescita negativa». Lo spread tra Btp e Bund tedeschi scende sotto quota 110 punti base e lo stesso Giorgetti esulta: «Avevo puntato all’inizio dell’anno su uno spread a 110, l’unico 110 che mi piace! Continuiamo così, è la strada giusta». E allora, tra la crescita che rallenta e lo spread che cala come sono messi i nostri conti pubblici?
Per ora l’equilibrio regge
Prima di verificare se intervenire in corso d’opera, il Governo punta a portare a casa la manovra con l’approvazione definitiva della legge di Bilancio, entro fine anno. Poi si rifaranno i conti e, con ogni probabilità, con il prossimo Documento di economia e finanza di aprile si rivedranno le stime e con esse le variabili di finanza pubblica, debito e deficit in testa. È un percorso che andrà concordato in progress con la Commissione europea in ossequio alle nuove regole di bilancio fissate dalla riforma del Patto di stabilità. C’è già in ballo un aumento non da poco del deficit dal 2025 al 2027 pari a un totale di 50,1 miliardi. Al pari va garantito un aggiustamento minimo strutturale pari allo 0,5% del Pil l’anno per sette anni. Si tratta ora di verificare l’impatto effettivo che potrà avere sui conti pubblici la frenata dell’economia. Al momento resta fermo l’impegno, ritenuto credibile da Bruxelles, di riportare il deficit entro il 3% del Pil nel 2026. Del resto, siamo in procedura d’infrazione e non sono ammesse deviazioni di sorta. Entro il 30 aprile del prossimo anno sono attese le “misure necessarie” per assicurare che il deficit si attesti effettivamente al di sotto di tale soglia. Il calo dello spread potrà avere senz’altro effetti positivi sull’andamento della spesa per interessi che nel 2024 si aggira attorno agi 85 miliardi e che è al momento è indicata in aumento fino ai 96,5 miliardi nel 2027. Come sottolinea l’Ufficio parlamentare di Bilancio, «l’allineamento allo spread sui titoli sovrani spagnoli comporterebbe un risparmio sull’onere del debito superiore a 23 miliardi per il periodo 2025-29».
Il tragitto previsto dal Governo
Stando al Piano strutturale di bilancio il deficit dovrebbe attestarsi nel 2025 al 3,3% del Pil (rispetto al 3,8% del 2024), al 2,8% nel 2026 e al 2,6% nel 2027. Stime che si reggono però su una previsione di crescita dell’1,2% nel prossimo anno, dell’1,1% nel 2026 e dello 0,8% nel 2027, ma già l’Istat da ultimo non va oltre lo 0,8% di crescita nel 2025. Se andrà come previsto dal Governo, dal 2027 il debito dovrà di conseguenza essere ridotto di almeno un punto percentuale l’anno. Al momento si dovrebbe passare dal 135,8% del 2024 al 137,5% del 2027. La sfida a questo punto è tutta sulla crescita e passa in buona parte attraverso la piena attuazione del programma di riforme e investimenti previsto dal Pnrr. Al 30 ottobre i pagamenti effettivi hanno raggiunto i 58,6 miliardi di euro, rispetto ai 52 miliardi di fine luglio su un totale atteso per il 2026 di 194,4 miliardi. Finora il contributo del Pnrr alla crescita è stato minimo, ed è sempre l’Istat a sottolineare come l’impatto “espansivo” della manovra non andrà oltre un modesto 0,2%, contro lo 0,3% previsto dal Governo.
Le incognite
La situazione geopolitica si è oggettivamente deteriorata a causa dei perduranti effetti delle due guerre in corso, tra Russia e Ucraina e in Medio Oriente, che vanno a incidere sugli scambi internazionali e sui prezzi delle materie prime. In Europa – sottolinea l’Upb – persiste la fase di stallo dell’economia tedesca e potrebbero inasprirsi le barriere commerciali e la frammentazione degli scambi già in atto. Gli ultimi dati sulla produzione industriale tedesca lo confermano: a ottobre il calo è stato dell’1% su base mensile e del 4,5% su base annua, tanto che pare ormai certo che l’economia tedesca stia per imboccare la strada verso la terza recessione annua consecutiva. È in crisi il modello di sviluppo tedesco, profondamente condizionato dall’andamento dell’industria manifatturiera che rappresenta il 20% del Pil. La crisi della Volkswagen è certamente una delle più gravi della Repubblica federale, che a fine febbraio sarà chiamata alle urne. Pesano poi le incognite legate ai possibili dazi che verranno imposti da Donald Trump, una volta insediatosi il prossimo 20 gennaio alla Casa Bianca. E pesa anche la situazione di stallo politico in Francia, alle prese con una difficile congiuntura economica e conti pubblici in sofferenza, con il deficit che quest’anno volerà al 6,2% del Pil e il debito che ha già superato il 110 per cento.
Fonte: Il Sole 24 Ore