
Cambiare lo smartphone prima del tempo? Il marketing supera l’innovazione tecnologica
Uno studio dell’Università Bocconi getta luce sul fenomeno dell’obsolescenza programmata nel mercato italiano degli smartphone, evidenziando come la sostituzione dei dispositivi sia spesso guidata da fattori psicologici più che da reali necessità. La ricerca, condotta da Nicoletta Corrocher e Sara Paganuzzi, rivela che un italiano su tre sostituisce il proprio smartphone entro pochi anni, anche quando è ancora perfettamente funzionante. Questo ciclo di consumo accelerato è alimentato dal desiderio di novità e dalle strategie di marketing, che spingono i consumatori ad acquistare nuovi modelli, anche se quelli vecchi sono ancora efficienti. L’obsolescenza programmata, ovvero la riduzione intenzionale della durata di vita dei prodotti per incentivare l’acquisto di nuovi, si manifesta in diverse forme. C’è ad esempio l’obsolescenza materiale, l’uso di materiali fragili che rendono i dispositivi vulnerabili ai danni. Pensiamo ad esempio alle cover posteriori in vetro, delicate e facilmente soggette a rotture. E poi quella “funzionale”, che interrompe gli aggiornamenti software per i modelli più vecchi, che diventano così incompatibili con le nuove app e funzionalità. Una pratica che limita l’utilizzo del telefono, seppur ancora funzionante e capace di svolgere le sue attività principali, spingendo l’acquisto di un nuovo modello. Un quadro governato dalla tecnologica nel quale si inserisce anche la cosiddetta “obsolescenza psicologica”, il desiderio di novità alimentato dalle mode e dal marketing. Il continuo lancio di nuovi modelli, con design accattivanti e funzionalità innovative, crea nei consumatori la voglia di possedere l’ultimo smartphone, anche se quello attuale funziona ancora bene. I costi di riparazione elevati rispetto al prezzo di un nuovo dispositivo disegnano infine l’obsolescenza economica. Spesso, la riparazione di un vecchio smartphone risulta poco conveniente, per colpa di componenti difficili da sostituire, come le batterie non rimovibili. “A questo si deve aggiungere”, sottolinea Corrocher, “che l’obsolescenza programmata non ha solo implicazioni economiche, ma anche ambientali e sociali, poiché accelera l’estrazione di risorse, l’uso di energia e la generazione di rifiuti elettronici. I cicli di sostituzione degli smartphone sono passati da una media di 2,4 anni nel 2013 a 3,7 anni nel 2022. Negli Stati Uniti, la durata media prevista degli smartphone consumer e aziendali era rispettivamente di 2,67 e 2,54 anni nel 2023, mentre nel Regno Unito quasi il 30% dei consumatori intervistati utilizza il proprio smartphone fino a due anni e il 41% fino a quattro anni”. Altro dato significativo è che un numero crescente di consumatori italiani sta considerando l’acquisto di smartphone di seconda mano. Una tendenza supportata dal miglioramento della qualità dei ricondizionati e dall’accettazione sociale dell’acquisto di elettronica usata.
Questo trend potrebbe indicare un cambiamento nel comportamento dei consumatori, verso un mercato degli smartphone più sostenibile. Indice di tale ascesa è il successo di piattaforme come Swappie, dedicato al segmento degli iPhone ricondizionati, che a fine dicembre ha raggiunto i due milioni di clienti globali. Ma anche l’italianissima Subbyx, che ha sposato il concetto di product-as-a-service. Invece di acquistare uno smartphone o un altro oggetto hi-tech di consumo, la startup ha pensato bene di mettere in azione un flusso di abbonamento in stile Netflix. Si paga una certa cifra al mese per assicurarsi il possesso di un dispositivo, eventualmente da cambiare all’uscita del modello successivo. Il modello Subbyx è stato accolto positivamente dal mercato italiano, come dimostra la sua rapida crescita e un’ingente raccolta di capitali che si attesta a oltre 20 milioni di euro in soli 12 mesi dal suo arrivo. La startup conta già oltre 8.500 abbonamenti attivi e ha raggiunto, al termine del 2024, un fatturato di 1 milione di euro, con 2,5 milioni di euro di ricavi ricorrenti annuali. C’è da cambiare sicuramente marcia anche a fronte di quanto ricordato dal Global E-Waste Monitor 2024 dell’Onu, secondo cui la produzione mondiale di rifiuti elettronici sta aumentando cinque volte più velocemente rispetto al loro riciclo. Nel 2022 sono state generate 62 milioni di tonnellate di RAEE, con un incremento dell’82% rispetto al 2010. Un monte che, si prevede, salirà a 82 milioni di tonnellate entro il 2030.
“È tempo che le aziende ripensino i loro modelli di business, abbracciando la sostenibilità non solo come un obbligo normativo, ma come un’opportunità per innovare e conquistare la fiducia dei consumatori” conclude Corrocher.
Fonte: Il Sole 24 Ore