Carcere e lavoro: chi fa formazione ha meno rischi di recidiva

I percorsi formativi e il lavoro come antidoto al rischio di recidiva. Su 100 detenuti che seguono percorsi di formazione e di inserimento lavorativo in carcere nelle cooperative sociali torna a delinquere meno del 10%: è «un abbattimento della recidiva importante rispetto a chi è sottoposto a trattamenti standard» e «di margine per far crescere l’impegno della cooperazione sociale in quest’ambito, ce n’è».

È il quadro fornito ieri dal presidente di Confcooperative Federsolidarietà Stefano Granata, intervenendo al convegno su “Cooperazione sociale e giustizia: un ponte tra carcere e società. Esperienze di innovazione ed impatto sociale” organizzato al Cnel da Confcooperative Federsolidarietà. Granata ha ricordato che un detenuto su 3, tra quelli occupati nel privato, è assunto da una cooperativa sociale associata a Confcooperative Federsolidarietà. E sono oltre 1.500 i detenuti ed ex detenuti impegnati in percorsi di formazione, tirocini e borse lavoro. Mentre sono 3mila gli ex detenuti che, intrapreso il percorso di lavoro in una cooperativa sociale, vi restano anche al termine della pena.

Il luogo scelto per l’evento non è casuale, perché proprio il Cnel ha avviato il progetto “Recidiva zero” e a metà aprile, ha elaborato un pacchetto di proposte normative al temine di una giornata promossa insieme al ministero della Giustizia, a coronamento del percorso avviato a giugno 2023 con il protocollo d’intesa siglato tra il presidente Renato Brunetta e il Guardasigilli Carlo Nordio (si veda IlSole24Ore del 17 aprile). «Il nostro obiettivo è recidiva zero – ha confermato ieri Brunetta -, o la recidiva più bassa possibile. La recidiva è troppo alta perché nessuno investe in formazione, scuola, lavoro che sono la rottura del circuito perverso che prevede solo che si sconti la pena in modo afflittivo. Economicamente è un non senso perché lo stato spende 4 miliardi per gestire le carceri, ma senza speranza, senza visioni sul futuro; sono un costo e non un investimento, il carcere diventa una trappola economica e sociale». Si è rivolto a Brunetta, il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini: «Ci sentiamo di accogliere la sfida recidiva zero – ha detto -. Abbiamo bisogno di un grande lavoro di sussidiarietà che tenga insieme stato e corpi intermedi. Per motivi di carattere etico, sociale, economico. Bisogna investire di più sulle infrastrutture sociali ed economiche, materiali e immateriali».

Tornando all’intervento di Granata, quest’ultimo ha sottolineato che «come è emerso anche dalla proposta del Cnel è importante far diventare la pubblica amministrazione un committente stabile delle prestazioni erogate, attraverso un piano di acquisti sociali della Pa, così da rendere più efficaci i servizi e la connessione con il territorio». Considerando che un detenuto costa oltre 150 euro al giorno al nostro Paese, investire in questi strumenti per il reinserimento socio lavorativo, è conveniente anche dal punto di vista economico.

La cooperazione sociale rappresenta un importante fattore di congiunzione tra il carcere ed il mondo esterno: sono circa 110 le cooperative sociali aderenti a Confcooperative che hanno assunto regolarmente (con retribuzioni previste dal Ccnl delle cooperative sociali siglato con Cgil, Cisl e Uil) persone svantaggiate nell’ambito della giustizia, in lavorazioni intramurarie o all’esterno delle carceri, circa 1.107 persone tra detenuti, ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro esterno. Oltre 4 mila persone usufruiscono dei servizi residenziali per detenuti ed ex-detenuti, in particolare con problemi psichiatrici e di dipendenze, e di altri servizi di reinserimento socio lavorativo una volta finita la detenzione.

Fonte: Il Sole 24 Ore