Carlo Mazzacurati, regista di umanità e poesia

Carlo Mazzacurati, regista di umanità e poesia

Come certi buoni scrittori della seconda metà del Novecento – Chiara, Sgorlon Tomizza, Cassola – Carlo Mazzacurati, scomparso nel 2014 all’età di 58 anni, rischia di essere colpevolmente dimenticato. Così Mario Canale ed Enzo Monteleone hanno pensato di raccontare lui e i suoi film in un documentario – nelle sale il 3, il 4 e il 5 marzo – che porta il nome del regista padovano con il sottotitolo, Una certa idea di cinema.

Una lunga intervista a Mazzacurati con spezzoni dei suoi film

Una lunga intervista di repertorio allo stesso Mazzacurati è intervallata da spezzoni dei suoi film, dall’esordio con Notte Italiana (1987), la prima pellicola prodotta dalla Sacher di Nanni Moretti, all’ultima, La sedia della felicità (2013), per cui ricevette il Gran Premio Torino per la carriera. Nel mezzo, le testimonianze di persone che gli hanno voluto bene e che hanno lavorato con lui. L’uso della congiunzione non è casuale perché quello che emerge da questo bel documentario è che chi ha lavorato con lui rimaneva colpito, oltre che dall’umoralità, da una vena umana e poetica fuori dal comune, di cui le sue pellicole portano il marchio. Immancabile la voce di Roberto Citran, attore feticcio, con cui Mazzacurati iniziò la sua esperienza da animatore del cineclub Cinema Uno di Padova e che fu protagonista del suo secondo lungometraggio Il prete bello (1989), tratto da Parise. Citran si mescola ad altri attori amatissimi, cui Mazzacurati diede per la prima volta il ruolo da protagonista sul grande schermo (Albanese), o convertì ai ruoli comici (Bentivoglio), o di cui capì la stoffa (Cortellesi). Moretti lo racconta, invece, nella veste di attore in piccoli ruoli in Palombella rossa del 1989, Caro diario del 1994 e Il caimano del 2006.

Narratore del Veneto e dell’Est

Mazzacurati è stato un narratore che cercava di capire il suo tempo e, soprattutto negli anni della caduta del Muro di Berlino, “l’altro” che arrivava dall’Est Europa a casa nostra ( Il Toro e Vesna va veloce), radicando le storie sempre nel suo Veneto, di cui prediligeva le atmosfere contadine e lagunari. Come eponimi della sua terra scelse tre grandi letterati – Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern e Andrea Zanzotto –, intervistati da Marco Paolini in una serie che chiamò Ritratti. Aveva una passione straordinaria per la gente comune, che immergeva in storie dolceamare, commedie che sconfinavano magari nel noir, come La giusta distanza (2007), il suo film più riuscito. Ma anche ne L’estate di Davide (1998), La lingua del santo (2000), A cavallo della tigre ( 2002), L’amore ritrovato (2004), La passione (2010) cercava la calma di un mondo che non esisteva più nel NordEst trasformatosi in una capannonificio.

La solidarietà e l’amicizia

O anche un antico senso di solidarietà che trovò girando Medici con l’Africa (2012) e il sorriso nel segno della Commedia alla Comencini. Amava i perdenti e raccontava sé stesso come una figura vicina a Sergio Orlando in Vesna va veloce: un uomo che non riusciva a fare del male, ma neanche del bene. E, invece, quel bene c’è: nelle pellicole e nel sentimento ancora forte dei suoi molti amici.

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Fonte: Il Sole 24 Ore