Carne suina, quotazioni in calo e costi alle stelle.Non bastano i prodotti Dop

«La marginalità ormai non esiste più, non posso neanche dire che è ridotta a zero, perché in questo momento stiamo vendendo la nostra carne in perdita, a causa delle quotazioni in calo e dell’aumento dei costi, sia delle materie prime che di quelli energetici». È la testimonianza di Giovanna Parmigiani, membro della giunta nazionale di Confagricoltura e allevatrice di suini. «Siamo una realtà piccola – racconta – che però copre tutto il ciclo dell’allevamento grazie a circa 300 riproduttori e 5 o 6mila suinetti l’anno».

Gli allevamenti hanno generato secondo l’Istat un valore di circa 3 miliardi nel 2019 che sono diventati 2,8 nel 2020. E un rapporto appena pubblicato da Ismea conferma il quadro negativo: dopo «un accenno di ripresa» nei primi mesi dell’anno, seguito a un 2020 particolarmente critico, «le quotazioni medie dei suini sono in calo del 6,2% a settembre».

L’aumento dei costi

Una situazione influenzata dallo scenario internazionale, che da un lato registra l’aumento dei costi dei mangimi, dall’altro sconta un’offerta abbondante e il rallentamento della domanda da parte della Cina, principale mercato mondiale: «La buona disponibilità di prodotto cinese, dovuta sia a un aumento della produzione nazionale sia a un elevato livello degli stock di carni congelate potrebbe determinare un ulteriore rallentamento delle importazioni», che causerebbe secondo Ismea «una ulteriore pressione al ribasso dei prezzi della carne suina». E questo nonostante l’export Ue dovrebbe segnare «un +6% a fine 2021» grazie agli sbocchi in Asia e Usa.

Il quadro internazionale

«L’aspettativa era che la domanda da parte della Cina, dopo i problemi sanitari con la peste suina che avevano registrato per la produzione interna, rimanesse alta. Così molti allevatori europei lo scorso anno hanno deciso di aumentare la produzione. Invece in Cina sono stati capaci di rinnovare il parco zootecnico molto velocemente. Il risultato – spiega Parmigiani – è che ora c’è un’eccedenza di carne e le quotazioni calano. Inoltre i prezzi del mais e della soia sono saliti del 60% in un anno, e per un allevamento i mangimi incidono per il 50% dei costi».

A questo si devono aggiungere i rincari energetici che stanno colpendo tutti. «Ci rendiamo conto – continua Parmigiani – che alzare i prezzi al consumatore determinerebbe una spinta inflazionistica, ma è difficile vedere una via d’uscita: o si trovano nuovi sbocchi per l’export a livello internazionale o bisogna sperare che si fermi l’aumento del costo delle materie prime, ma non credo purtroppo che questo succederà».

Fonte: Il Sole 24 Ore