Caro mangimi, primi effetti sui prezzi delle carni bianche

Caro mangimi, primi effetti sui prezzi delle carni bianche

Negli allevamenti di polli il 60% dei costi è costituito dal mangime. Non è difficile quindi immaginare le conseguenze negative sui conti degli allevatori causate dai rincari record delle quotazioni del mais (che da solo copre il 40% della razione) e a cui vanno aggiunte l’impennata delle altre commodities e della bolletta energetica.

«L’indice dei costi di produzione complessivi di questo tipo di allevamento, dall’energia ai pulcini fino alla forza lavoro, nei primi tre mesi del 2022 ha fatto registrare aumenti di oltre il 21% su base annua, ma il costo della sola razione media è salita di circa il 33%, con un +40% su base annua ad aprile – conferma Fabio Del Bravo, direttore dei Servizi per lo sviluppo rurale di Ismea –. L’avicoltura insieme ai bovini da latte risulta quindi tra i settori più colpiti, anche se grazie ad una collaudata integrazione di filiera e a marchi forti sul mercato è probabilmente in grado di affrontare meglio di altri lo shock in atto».

«I margini si stanno ovviamente riducendo e le aziende per prima cosa cercano di riassorbire i costi, ma purtroppo non si tratta di un fenomeno temporaneo, perché per ricostruire le scorte di materie prime a livello internazionale ci vorranno alcuni anni e l’assenza di fenomeni avversi, ad esempio dal punto di vista climatico», commenta Antonio Forlini di Unaitalia, l’associazione di produttori di carni bianche e uova che rappresenta un settore da 5,8 miliardi di fatturato alla produzione (+3,8% sul 2019) e che copre per intero il fabbisogno italiano.

«Se è vero che soprattutto le aziende più grandi e con una filiera più strutturata possono resistere meglio alla crisi – precisa Forlini – essere integrati ad esempio nella produzione di mangimi non vuol dire non essere colpiti dai rincari delle commodities e dell’energia. E poi comunque ci sono i produttori più piccoli che sono molto più esposti. In questo momento la difficoltà è sostituire le forniture dalla Russia e soprattutto dall’Ucraina che non sta consegnando a causa del blocco dei porti. Un problema soprattutto per il mais e la soia, in particolare quella non Ogm che in pratica proveniva solo da lì».

Secondo Coldiretti, il Piano dell’Unione europea per salvare i cereali ucraini potrebbe sbloccate circa 30mila tonnellate di grano per la panificazione, 60mila di olio di girasole e, appunto, quasi 200mila tonnellate di mais per l’alimentazione animale destinati all’Italia.

Fonte: Il Sole 24 Ore