Cartelle, il contrasto fra le sentenze spiazza il contribuente

Cartelle, il contrasto fra le sentenze spiazza il contribuente

La complicata vita dei contribuenti italiani – già alle prese con scadenze e adempimenti – passa anche da una serie di sentenze tributarie su identiche questioni ma con decisioni diametralmente opposte.

Contrasti tra giudici di merito, ma anche di legittimità, che generano incertezza per cittadini e imprese, contribuendo all’aumento del contenzioso, in special modo sulle cartelle. Atti che, per la loro natura, potrebbero generare meno discussioni rispetto agli avvisi di accertamento. E che nel 2021, dopo il calo legato alla pandemia, hanno raggiunto un valore di 6,9 miliardi di euro (cartelle notificate), per il 55% riconducibile alle Entrate, per il 29,4% alle Regioni e per il resto diviso tra vari enti.

Di fatto la riforma della giustizia tributaria – in vigore da venerdì scorso, 16 settembre – con l’istituzione di un giudice professionale e di una sezione “specializzata” della Cassazione, cerca di arginare questa problematica. Il punto, infatti, è l’incertezza nell’interpretazione della legge, che fino ad oggi ha costituito un ulteriore motivo di incremento del contenzioso. La definitiva interpretazione di una norma avviene quando oramai una questione ha generato centinaia, se non migliaia, di cause che potevano non nascere o essere celermente decise. Senza pretesa di completezza, vediamo alcuni temi controversi.

Calcolo degli interessi

Un argomento discusso riguarda il contenuto della motivazione della cartella recante gli interessi sul debito fiscale. Si è dibattuto se la motivazione debba o meno indicare i criteri di calcolo e il tasso di interesse applicato per ogni anno.

La Cassazione sembra aver risolto la questione con la sentenza a Sezioni unite del 14 luglio 2022 n. 22281, anche se poi si dovrà capire se sarà applicata dal merito. Secondo la Corte è necessario distinguere l’ipotesi in cui la cartella richieda al contribuente interessi mai prima determinati, da quella in cui la cartella segua un atto in cui sono già stati computati gli interessi. Nel primo caso è necessario che la cartella rechi, anche per relationem, l’indicazione del debito d’imposta, l’entità, la decorrenza degli interessi e la base normativa. Nel secondo caso, l’ufficio dovrà solo motivare con il riferimento all’atto fiscale e/o alla sentenza che lo ha reso definitivo, trovando la quantificazione degli interessi, quanto a decorrenza e calcolo, la sua fonte in tali atti.

Fonte: Il Sole 24 Ore